Gemito

Rubrica de Il Sole 24ore “Abitare le parole”

«Si logora nel dolore la mia vita // i miei anni passano nel gemito». Senza doverlo necessariamente considerare l’unica colonna sonora del nostro vivere, come afferma il salmista (Sal 30, 11), il gemito, nelle sue varie espressioni, segna in maniera rilevante i tornanti della nostra vita. Soprattutto quando le parole rischiano di diventare segni convenzionali, incapaci di esprimere quanto ci si porta dentro. Sono comunque i momenti nei quali il gemito diventa una potente forma di comunicazione. Una delle più antiche e intense. Se ne trova testimonianza nella letteratura classica e nelle pagine bibliche. Con una differenza semantica mediata dai termini cui si ricorre.
Nella letteratura greca, soprattutto in Omero, il gemito è il γόος (góos), che permette il ristabilizzarsi del complesso fisico (viscerale) e psichico della persona, alterato a causa di una forte emozione. La sua è quindi una funzione prevalentemente terapeutica, come dimostra la commovente scena del gemito/pianto che unisce Achille e Priamo dinanzi al ritrovato illeso corpo di Ettore (Iliade, XXIV, 507. 513. 514).
Molto più ampio è il campo semantico del verbo στενάζω (stenάzo) col quale viene reso l’atto del gemere in Sofocle, Euripide e nelle pagine bibliche. I due drammaturghi greci e le pagine bibliche ci portano, in ogni caso, lontano dal mercato mediatico delle emozioni. E lontano anche dall’interpretazione antropologicamente riduttiva che ne dà K. Marx: «La Religione – si legge nella Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico – è il gemito della creatura oppressa, l’animo di un mondo senza cuore, così come è lo spirito d’una condizione di vita senza spiritualità. Essa è l’oppio dei popoli».
C’è un gemere condiviso nella Sacra Scrittura. In alcuni momenti, esso è segno della fatica e della sofferenza per la malattia, tanto intense da togliere la parola e lasciare spazio solo a toni soffocati e a parole e suoni indistinti. Il più delle volte, il gemito dell’essere umano e della creazione, come ricorda san Paolo (Rom 8,22), è espressione di una tensione interiore, non impaziente, verso forme di vita piena e riuscita, che spesso tarda a venire perché bisognosa di tempi diversi da quelli da noi preventivati o desiderati. Questi gemiti bisogna saperli coltivare per sé, e bisogna sostenerli quando sono i gemiti delle persone che amiamo. Consapevoli che, soprattutto quando la cruda realtà sembra travolgerci, il gemito, soprattutto quello accolto da altri e condiviso, conserva il suo valore terapeutico, senza scadere in mero e consolatorio oppio.
Quando il gemito non esprime rassegnazione, esso dà voce alla nostra creaturalità, limitata ma non sottomessa.

Gemito

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