Fuga

Rubrica de Il Sole 24ore “Abitare le parole”

La Toccata e fuga in re minore (BWV 565) di J.S. Bach, una delle più celebri composizioni per organo della musica barocca, può avermi ispirato indirettamente, perché mi convince una interpretazione che ne è stata data. Accanto, infatti, a chi vi ha visto la rappresentazione di un temporale, c’è chi considera il capolavoro bachiano come l’illustrazione del Salmo 35: l’implorazione di un giusto perseguitato. Implorazione, che resta l’ultima arma di cui dispone chi scappa dalla miseria e dalla guerra. Soprattutto quando sulla sua strada trova solo indifferenza e cinico rifiuto.
Fuggire è per lo più una strategia per sentirsi sicuri da un’altra parte. Nasce dal desiderio di allontanarsi da ciò che fa male, impaurisce o soffoca. E quindi dal desiderio di libertà di vivere o di sopravvivere. Come fanno i giovani laureati che non trovano un lavoro dignitoso in patria (la cosiddetta fuga dei cervelli).
Intensa è la descrizione che di questo desiderio fa Giovanni Verga. A fronte della decisa volontà di fuggire da parte di ‘Ntoni, lo scrittore siciliano fa dire a Mena che «il peggio è spatriare dal proprio paese, dove fino i sassi vi conoscono, e dev’essere una cosa da rompere il cuore il lasciarseli dietro per la strada» (I Malavoglia, cap. XI).
Può apparire strana la correlazione etimologica tra la parola fuga e i verbi latini fùgere (fuggire) e fugàre (inseguire, cacciare). Essa apre invece la strada a una metafora concettuale che conferma la drammaticità tipica dell’esperienza lacerante della fuga. Per uno che fugge c’è uno che insegue e che rende sempre più insopportabile lo «spatriare dal proprio paese, dove fino i sassi vi conoscono».
L’Aci Trezza – paese dei Toscano, soprannominati malignamente Malavoglia – da cui vuole fuggire ‘Ntoni, non è sempre e solo un luogo fisico. È sovente il mondo di esperienze, situazioni, sentimenti in crisi dai quali ci si vuole allontanare. Talvolta dai fantasmi. Fuggire, in questi casi, somiglia all’intraprendere una gara che difficilmente si può vincere. Ci si accorge presto, infatti, che le sensazioni legate alle relazioni incrinate le abbiamo portate con noi. Pronte a riaffacciarsi dietro ogni angolo e a impregnare le pareti di qualsiasi luogo in cui è approdata la nostra fuga.
Le situazioni dalle quali intendiamo ragionevolmente fuggire sarebbe più sensato affrontarle con un occhio attento a quello che avviene in architettura. Qui il significato positivo della parola fuga sta tutto nella capacità di collocare una serie di elementi uno di seguito all’altro, a distanza regolare e ben definita, ricavando l’effetto prospettico di uno slancio in avanti. Proprio come la bachiana Arte della fuga.

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