Formazione

Rubrica de Il Sole 24ore “Abitare le parole”

Il primo passo da fare per cogliere il senso pieno della parola formazione è liberarla dalla sempre più frequente connotazione professional-aziendale, che tende a farne mero trasferimento e acquisizione di competenze e conoscenze tecniche. Una formazione intesa così come pratica; a differenza della storia di questo termine che ne fa, invece, l’esperienza di ogni persona chiamata, per natura, a vivere in maniera consapevole e creativa la relazione con se stessa e con il contesto nel quale è inserita. Fino a far coincidere la propria storia con il processo formativo che segna le tappe della sua vita.
È quello che, con le dovute differenze, i Greci chiamavano paideia, i Latini humanitas ed il mistico tedesco Meister Eckhart, seguito da Jacob Böhme, Bildung. È proprio il termine Bildung a rendere meglio il significato della parola formazione. Il verbo Bilden, dal quale esso deriva, vuol dire infatti formare, comporre, creare, dare forma a qualcuno o a qualcosa all’interno di un orizzonte di senso compiuto.
La formazione è qui intesa come un processo; complesso, per la molteplicità dei livelli di coinvolgimento della persona, e delicato perché impastato di aspetti intellettivi, pratici, emotivi e relazionali. Non c’è nulla che non possa contribuire alla formazione di una persona perché, quello formativo, è un vero e proprio piano organico, orientato, come vuole il filosofo tedesco R. Spaemann, a una «vita riuscita».
La vita riuscita è il frutto maturo e consapevole di un processo, inteso come apertura illimitata e coraggiosamente disponibile verso la realtà intera. Frutto che può assaporare solo chi, nel rispetto della sua identità e della sua libertà «sous conditions» (Mounier), è disponibile a uno scambio dialogico – rielaborato in maniera personale – con tutto ciò che incrocia: eventi, cultura, pensieri, progetti, sentimenti, smarrimenti ed emozioni.
Tutto ciò, insomma, che Bonhoeffer considera «scomodità della formazione» (14 agosto 1944), intuendo il salto culturale, forse di civiltà, che è diventato urgente in questi ultimi decenni. Sono proprio queste scomodità a farci concludere che una efficace formazione, prima che frutto dell’attitudine a una generica (auto)riflessione, è disponibilità a prendersi cura di sé, in ogni circostanza. Chi non accetta di andare oltre il compito dell’educarsi e dell’istruirsi, non potrà dare consistenza al progetto formativo, per altro mai finito, che pervade tutta l’esperienza di vita. E che, proprio per questo, deve convincere chiunque ne abbia responsabilità che investire in formazione è utile e remunerativo. Per tutti.

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