Rubrica de Il Sole 24ore “Abitare le parole”
Da sempre la parola follia vive in simbiosi con il termine creatività. Tanto da far dire al poeta romantico tedesco C. Brentano che la follia è la sorella sfortunata della poesia. Una simbiosi che, se non autorizza a considerarle sinonimi, non esclude l’esistenza di aspetti che le avvicinano.
A unire i due termini, e soprattutto le condizioni che essi evocano, può provvedere solo chi, per esperienza o per straordinaria sensibilità interiore, ha occhi per cogliere gli slanci del cuore straziato che abitano sia la persona folle sia quella creativa. Ovvero, può provvedere solo chi, dotato di «intelligenza del cuore» (E. Borgna), è disposto ad abbandonare i pregiudizi che, abbinati a ostinate immagini mediatiche, continuano ad alimentare una distorta percezione della sofferenza psichica. Questa, infatti, anche quando porta alle manifestazioni di follia, non sempre, e non necessariamente, è frutto di disturbi mentali classificati dagli esperti come psicosi.
Sono queste le considerazioni che permettono di affacciarsi sulla straordinaria ricchezza delle parole spese sulla follia, non solo da A. Merini, ma anche da V. Andreoli e dallo stesso E. Borgna. Con la sua bellissima ed efficace narrazione poetica, A. Merini, dopo aver vissuto sulla sua pelle l’esperienza drammatica del manicomio, obbliga ad accostarsi alla follia con rispetto, rifiutando ogni soluzione semplificatrice. Perché «la follia è una delle cose più sacre che esistono sulla terra. È un percorso di dolore purificatore, una sofferenza come quintessenza della logica. La follia deve esistere per sé stessa, perché i folli vogliono che esista. Noi la chiamiamo follia, altri la definiscono malattia» (La pazza della porta accanto).
Non sempre e non per tutti la condizione di follia si presenta come risorsa preziosa e processo di ricerca, che spinge fin nelle profondità dell’animo umano. Come è stato per la poetessa dei Navigli. Le manifestazioni che accompagnano la follia sono complesse al punto da creare scompensi difficili da gestire o da curare, specialmente se non sono certe le origini che le scatenano. Soprattutto in chi sente la carne e l’animo della persona folle come sua carne e come sua anima.
Si può assistere a un effetto moltiplicatore della fragilità provocata dalla follia, che toglie il respiro e riduce la capacità di razionalizzare. A poco valgono, in questi momenti, le distinzioni di Platone nel Fedro tra la follia di origine umana e quella di origine divina (265a). Né quelli da taluni presentati come esempi di genialità e follia che si incontrano in ogni ambito della cultura, da van Gogh a Munch, da Dalì a Monet e tanti altri.