Rubrica de “Il Sole 24ore” Abitare le parole / Flessibilità – La prima definizione che si incontra sui Vocabolari presenta la flessibilità come la proprietà che permette ad alcune materie di reagire in maniera elastica alla sollecitazione di determinate forze, modificando la propria forma e mantenendo la capacità di tornare allo stato originario. Evitandone così la rottura. Gli ambiti di impiego della parola flessibilità sono numerosi. Si parla, ad esempio, di flessibilità di un materiale, ma anche di flessibilità lavorativa; di flessibilità cognitiva, ma anche di flessibilità educativa ed emotiva. Più di altri, è soprattutto il mondo del lavoro a fare ricorso ultimamente alla parola flessibilità, evocativa di un fenomeno sociale sempre più spesso negativo. Infatti, da capacità di rispondere alle nuove esigenze che si presentano e che domandano disponibilità al cambiamento, la flessibilità diviene di frequente il primo passo verso la condizione di precariato e verso la perdita del posto di lavoro.
Quando non è ridotta a una commodity e riprende il suo significato originario, la parola flessibilità diventa la qualità altamente desiderabile di chi si adatta al mutare delle circostanze, senza finire schiacciato dal nuovo e dall’imprevisto. E senza pagare, per questo, un prezzo troppo alto, in termini di perdita della propria identità.
In scienza delle costruzioni è chiara la caratteristica positiva della flessibilità di un materiale, capace di riprendere la sua forma originaria appena il carico applicato viene rimosso. Trasferita sul piano esistenziale, la caratteristica positiva della flessibilità non va confusa con un atteggiamento rinunciatario, arrendevole e fatalistico. Proprio perché la vita esige da tutti creatività e progettualità, la flessibilità è figlia di una intelligenza viva e va di pari passo con l’essere accorti, creativi e dinamici. Capaci di entrare, grazie a una corretta flessibilità cognitiva/mentale, in relazione e in dialogo con quanto incrocia la propria strada: altri valori, altri modi di pensare, di progettare e di credere. Nemico della flessibilità cognitiva è la rigidità cognitiva, che ha un impatto negativo, prima di tutto, sul mondo delle relazioni e che spesso è frutto del bisogno quasi patologico di ridurre a tutti i costi l’incertezza. Soprattutto quella che riguarda le emozioni, che condizionano più di quanto non si pensi la lettura che facciamo del mondo e il modo in cui gestiamo le nostre relazioni. Nella vita di relazione, la flessibilità non è assenza di stabilità emotiva. È piuttosto attitudine a non farsi “spezzare” – nel senso etimologico di “farsi ridurre a pezzi” – dalla paura di sbagliare, da incomprensioni o da situazioni difficili e complesse. La flessibilità, come altre “arti”, non la si eredita come un cromosoma. La flessibilità si impara e in flessibilità si cresce. Come il bambù, dice la sapienza cinese, che impiega sette anni a germinare ma, una volta emerso dal terreno, è inarrestabile nella crescita, fermo, resistente e flessibile. Più di una quercia.