Rubrica de “Il Sole 24ore” Abitare le parole / Entusiasmo. La parola è entrata solo tardivamente nel nostro vocabolario, probabilmente per una suggestione riconducibile alla lingua francese. Sono almeno due le derivazioni etimologiche di questa parola. Per la prima, essa trarrebbe origine dalla radice greca thus (in sanscrito dhu), da cui il verbo enthousiazein. E sarebbe proprio la radice thus a conferire al verbo greco un significato che va ben oltre l’essere ispirato o attratto da qualcosa o da qualcuno. La radice thus infatti rimanda a una sorta di furore, di impeto e di slancio. Addirittura di delirio sacro. Come quello delle baccanti (thuas) o dei culti dionisiaci e apollinei. L’altra derivazione rimanda al greco enthus o en-théos: avere un dio dentro, e quindi essere spinto da una forza interiore irresistibile.
Al di là delle dispute tra etimologi, l’entusiasmo – che non è sovraeccitazione né un sentimento, superficiale e volatile – è energia interiore. Alternativa a un modo arido, opaco e deluso di stare al mondo e capace di dare anima e mettere ali a parole, altrimenti vuote, e a gesti, altrimenti ripetitivi. L’entusiasmo è forza che spinge en-théos, verso ciò che sta in alto e più avanti, dischiudendo la realizzabilità dei sogni. Ma solo in presenza di un ideale, di un piano realistico che lo riguardi e di motivazioni chiare per dargli attuazione. È proprio la presenza di un piano realistico e la natura dell’ideale a segnare la differenza tra l’entusiasmo ed il fanatismo. Non aver percepito questa differenza ha scatenato l’avversità di H. More, che riteneva un “morbo fatale” l’entusiasmo.
Allo sguardo positivo sull’entusiasmo, diversamente motivato e descritto da Platone, Aristotele e dallo stesso K. Jaspers, si oppone, tra gli altri, J. Locke, che considera l’entusiasmo un Ignis fatuus (Saggio, IV, cap. 19). Sulla stessa lunghezza d’onda si pone Voltaire, per il quale “L’entusiasmo è soprattutto il retaggio della religiosità male intesa … è come il vino: può suscitare tanto tumulto nei vasi sanguigni e così violente vibrazioni nei nervi, che la ragione ne viene ottenebrata” (Dizionario filosofico). Di tutt’altra opinione è Dante, che stigmatizza quanti si lasciano possedere dal contrario dell’entusiasmo, l’accidia. Il Sommo Poeta li considera “sciagurati, che mai non fur vivi”. Può vivere in maniera entusiasta solo chi coltiva realisticamente pensieri positivi su di sé e sugli altri, anche in presenza di limiti evidenti, che possono talvolta trasformarsi in veri e propri ladri di entusiasmo. Non perdere l’entusiasmo, in questi casi, è come continuare a soffiare su scintille che stanno per spegnersi. È tendere una molla che può far decollare pensieri e ideali appesantiti dalla durezza della vita e dal cinismo di chi ci circonda. È come “Andare di terra in terra, di amore in amore, perdutamente, e all’ultimo orizzonte scoprire che Dio [entusiasmo deriva da en-théos] non era nelle stanche parole, nel gelo dei monumenti. Era nel brivido del tuo inquieto cammino” (A. Casati).