Rubrica de Il Sole 24ore “Abitare le parole”
Tendenza alla semplificazione e buona dose di pigrizia mentale sono all’origine dell’accezione fortemente negativa che, presso alcuni, gode la parola dogma. Eppure Victor Hugo, riferendosi al motto della Rivoluzione francese, definiva Libertà, uguaglianza e fraternità «dogmi di pace e di armonia». Quasi a dire che alla parola dogma, se vi è accompagnamento e conoscenza adeguati, possono associarsi esperienze costruttive, capaci di indicare direzioni convincenti in una vita a tratti davvero insensata. Insomma, più pericolosi dei dogmi sono le persone, le autorità o i modi in cui viene proposto il dogma. Soprattutto quando si ignora il contesto nel quale nasce e quando si identifica tout court l’oggetto del dogma con la sua formulazione. In questi casi, il dogma perde il carattere di insegnamento vivo e viene ridotto a formulazione astratta che con fatica riesce ad avere un senso per chi è alla ricerca del centro della propria vita.
La parola dogma nel linguaggio cristiano conserva l’etimologia di mostrare i binari entro i quali ricercare sulle verità di fede. Più in particolare, essa indica «le formulazioni che la Chiesa propone all’adesione dei credenti come espressione e interpretazione autentiche della rivelazione divina» (G. Lorizio).
Prima ancora però, la parola dogma è presente nella filosofia antica. Non sempre con significati univoci. In Platone, ad esempio, la parola δόγμα ha più significati. Nella Repubblica (538,c) e nel dialogo tra Socrate e Fedro (257), vuol dire opinione, mentre nelle Leggi (644,d) dogma indica il decreto. Decreto, ordinanza, decisione o giudizio valgono per la parola dogma in Cicerone (Academicorum reliquiae cum Lucullo, IV, 9) e in Seneca (Epistulae morales ad Lucilium, 94). Qui, in verità, i dogmi sono anche i capisaldi dottrinali delle varie scuole filosofiche. Indispensabili punti di riferimento per la vita e le scelte delle persone, quando però non degenerano in dogmatismo. Quello che già ai tempi di Diogene Laerzio (Vitae et placita philosophorum, IX, 74) aveva scatenato la reazione degli scettici.
Forse va presa in considerazione in maniera più seria la scritta trovata da qualche parte: «Contro il dogma, c’è l’eresia! Fuori dalla formulazione del dogma, c’è tanto!». Quel «tanto» che può essere riconosciuto e di cui può godere, come ci ha insegnato Luigi Pareyson (Verità e interpretazione), solo chi è disposto ad abbandonare una concezione statica della verità a favore di una verità che non si dona una volta per sempre e che chiede di essere continuamente cercata e riconosciuta. Ciò è vero sia per l’esperienza religiosa sia per la verità di sé che ciascuno di noi insegue.