Rubrica de “Il Sole 24ore” Abitare le parole
Il campo semantico della parola delusione risente molto della etimologia, che rimanda al latino deludere. Verbo composto da de (particella normalmente intensiva ma che, in questo caso, indica una fuoriuscita) e ludere, legato al sostantivo ludus (gioco). Letteralmente, quindi, la parola delusione indica l’uscita da un gioco. Un’uscita tutt’altro che indolore, perché accompagnata dalla consapevolezza di essersi coinvolti o fatti coinvolgere in qualcosa che si è rivelato lontano dalla realtà o comunque tutt’altro rispetto alle proprie aspettative, appunto un ludus, mero gioco. La sofferenza, poi, che accompagna la delusione è tanto più cocente quante più risorse sono state investite in quello che a posteriori viene giudicato, persino ironicamente, un ludus ingannevole.
E così, la delusione – per ogni persona incline a coltivare degli ideali – è lo stato d’animo doloroso che accompagna la presa d’atto del divario tra ciò che si credeva o si sperava e la realtà. Realtà che, col suo peso, in un sol colpo e in maniera inattesa, fa naufragare sogni e speranze. Destabilizzando il nostro equilibrio e lasciando segni vistosi, non necessariamente fisici, sul volto della persona delusa. Frutto e presa d’atto della distanza tra la realtà e le nostre attese, la delusione ci costringe a fare i conti con la qualità delle nostre attese e col livello di realizzabilità di esse. Se però le prestiamo attenzione, la delusione ci educa a una gestione razionale e non esclusivamente emozionale delle nostre aspettative. E ci aiuta a capire che gli ideali non messi alla prova del reale costituiscono terreno fertile sul quale le delusioni crescono e si moltiplicano.
Dopo aver rimosso la tempesta di emozioni negative che accompagnano la delusione, a tutti è data la possibilità di tornare a vivere, desiderare e progettare. A patto che tra la delusione e la ripresa avvenga qualcosa di significativo, che rimetta in moto la speranza e la fiducia nella vita e negli altri. A volte basta un incontro. Basta il sentirsi ascoltati ed accolti nella propria delusione. Com’è capitato ai due discepoli di Emmaus, di cui parla il Vangelo di Luca (24, 13-35). Il loro incontro con Gesù il Risorto ha ispirato i più grandi artisti dell’età rinascimentale e barocca: Tiziano, Tintoretto, Caravaggio, Rubens. Anche Rembrandt ha più volte dipinto l’apparizione del Signore ai discepoli di Emmaus, nella casa di questi ultimi. Una vera e propria sfida per rappresentare, oltre al significato squisitamente religioso, la forza di un incontro capace di riaprire gli occhi, far ardere il cuore di entusiasmo, e rimettere in cammino. Ma solo dopo che Gesù ha ascoltato e accompagnato con delicatezza la delusione e la tristezza dei due, che avevano confessato – parole loro – “… noi speravamo che fosse lui”.
La luce che illumina gran parte del piccolo pannello di legno dipinto dal ventiduenne Rembrandt fa venire in mente quanto ha lasciato scritto Teresa d’Avila: «Ogni nostra oscurità trascina sempre con sé una gemma di luce».