Delicatezza

Rubrica de Il Sole 24ore “Abitare le parole”

Dovessi cercare un sinonimo della parola “delicatezza”, non andrei oltre il termine “rispetto”. Soprattutto perché lo ritengo, assieme all’intelligenza, la scaturigine di ogni gesto, di ogni sguardo e di ogni abbraccio delicati. Questi appartengono solo a chi è capace di intus legere il livello di sensibilità di chi gli sta di fronte. In modo da pronunziare parole che non feriscono, lanciare sguardi che non violano l’intimità e regalare abbracci che non soffocano.
La persona delicata è libera dal possesso ma non dalla cura. Pone domande, con rispetto e senza pretese, restando in attesa che sia l’altro a farle dono della risposta; quella che questi decide di mettere in comune, perché si crei un ponte che unisce storie diverse.
La delicatezza si esprime attraverso scelte e atteggiamenti concreti: il rispetto dei tempi degli altri, specialmente quando si ha la responsabilità di una famiglia o di una comunità; fare un passo indietro, quando c’è l’eventualità di essere percepiti come ingombranti; tacere piuttosto che emettere solo suoni, per il gusto di dire la propria. In una parola, discrezione, secondo la Regola benedettina di saper discernere la misura giusta o il momento adatto.
«In Miltiade – scrive Cornelio Nepote (De viris illustribus, 8.4) – summa erat communitas». La communitas, per i latini, era la delicatezza. Trovar riconosciute insieme, nel comandante ateniese, summa communitas e capacità di grandi conquiste aiuta a capire che la delicatezza non è la qualità dei deboli. È una virtù che invece appartiene alla persona forte, che non ha bisogno di sopraffare l’altro per affermare la verità, per attirare l’attenzione su di sé o per creare relazioni significative. La delicatezza procura e dà soddisfazione: ha la stessa radice di “delizia”.
Soprattutto nel dialogo, la delicatezza è molto di più della gentilezza e della cortesia. È l’insieme di intuizione, tatto e scelta delle parole giuste, dette con garbo. Possibile solo a chi, prima di prendersi cura degli altri, si prende cura di sé. Infatti non si può essere delicati con gli altri e con l’ambiente che ci circonda se non si è interiormente pacificati.
Non può essere delicato l’egoista, perché la delicatezza porta di per sé a osare la solidarietà e spinge a sviluppare l’attenzione verso l’altro, diventando la strada maestra per la costruzione di una società nella quale valga la pena di vivere. L’egoismo individuale e quello collettivo offuscano gli occhi. Al contrario, la delicatezza dona occhi per scorgere potenzialità nuove in chi mi sta di fronte e orecchie per farsi raggiungere dalla richiesta di rispetto proveniente dall’ambiente che mi circonda.
Per quanto la delicatezza vibri in noi a un ritmo diverso da quello della materia e delle cose materiali, ci permette di guardare l’una e le altre con un occhio che ne scopre e valorizza le potenzialità.
Che differenza infatti tra una musica ascoltata da una persona delicata e la stessa che invece raggiunge le orecchie di una persona rozza e insensibile!

Delicatezza

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