Rubrica de Il Sole 24ore “Abitare le parole”
La parola degrado e il corrispondente verbo degradare/degradarsi si ritrovano subito accanto una parola e un verbo con lo stesso patrimonio genetico linguistico (si chiamano allotropi), ma con significati molto diversi. Mi riferisco alla parola digrado e soprattutto al verbo digradare. La derivazione è la stessa: il sostantivo latino gradus (passo, scalino; ma anche grado, rango, ruolo, dignità) e il relativo verbo degradare. La particella de indica, qui, un movimento che va dall’alto in basso.
Sul piano semantico, l’alterazione della “e” in “i” ha fatto prendere strade divergenti alle due coppie di parole. Digradare, infatti, rispetto a degradare e a degrado, ha una portata elegante. Dà subito l’idea dello scendere, sì, ma in maniera graduale, dolce. Quasi a voler descrivere il piacevole incedere che permette di raggiungere senza fretta un luogo o uno spazio in cui potersi fermare e riposare. Scendendo, semmai, dopo aver conquistato la cima di una montagna.
Sensazioni del tutto assenti, invece, quando ci si incontra con la parola degrado. Presente in molteplici contesti, da quello ambientale e morale, a quello sociale, economico, monetario, culturale, politico e fisico. In tutti questi casi, la parola degrado indica uno scendere di livello, uno stato di deterioramento, di alterazione negativa, di guasto e di rovina.
Sembra che, prima di farsi strada in questi contesti, la parola degrado abbia interessato l’ambito militare. Degradare, qui, ha il significato di punire un militare, privandolo del grado fino ad allora detenuto, disonorandolo pubblicamente. Degradandolo, appunto.
Sempre più spesso, nel linguaggio e nei programmi politici, trasversali agli schieramenti e ai partiti, s’incontra la parola degrado. Si promette di intervenire con operazioni “antidegrado”, dietro le quali c’è l’idea precisa di certa politica, che identifica il degrado con la povertà e con le conseguenze che ad essa si accompagnano. Così, di tanto in tanto, si attuano operazioni antidegrado, che traggono forza e spettacolarità dal trattare alcune categorie di persone come rifiuti da sgomberare. Come si fa con la spazzatura.
Assodata la necessità di eliminare prima di tutto le cause di ogni forma di degrado provocato dalla marginalità, resta più di un dubbio sulla solerzia con la quale si prova a combattere questa forma di degrado. Gli stessi soggetti, semmai e nello stesso tempo, lasciano prosperare, alimentandole, forme di maleodorante degrado culturale e di decadenza civica. Non è forse degrado l’endemica assenza di spazi veri di dialogo e di confronto, sostituiti dalla violenza verbale e dalla delegittimazione reciproca?