Rubrica de “Il Sole 24ore” Abitare le parole / Insegnamento – Insegnamento deriva dal latino insignare – composto dal prefisso “in” unito al verbo “signare” (imprimere, fissare, segnare) – che, a sua volta, rimanda al sostantivo signum (marchio, sigillo). Basterebbe questo per affermare che l’insegnamento è un’attività tesa a “segnare” la vita trasmettendo un metodo e dei contenuti abilitando a vivere in maniera riuscita e consapevole il proprio contesto.
È quanto riteneva anche don Milani. “Non ho bisogno – affermava il prete fiorentino – di lasciare un testamento con le mie ultime volontà perché tutti sapete cosa vi ho raccontato sempre: fate scuola, fate scuola; ma non come me, fatela come vi richiederanno le circostanze”. Al di là degli aspetti specifici e delle circostanze irripetibili, Don Milani non riduceva l’insegnamento alla programmazione o alle funzioni strumentali. L’insegnamento l’ha inteso piuttosto come esperienza di relazione nella quale si offrono gli strumenti scientifici per diventare persone libere e creative in un contesto. Un contesto visto come una rete serrata e inevitabile di relazioni educative; una rete che si declina in una pluralità di forme che prevedono la trasmissione di un patrimonio fatto di informazioni, di teorie e di prassi.
La sfida dell’insegnamento, soprattutto di quello moderno, è tentare di trasferire il patrimonio culturale e far appassionare a esso con mezzi contemporanei (i metodi didattici), con un linguaggio adeguato e soprattutto con l’ascolto appassionato. “Non ho mai insegnato ai miei allievi, affermava A. Einstein; ho solo cercato di metterli nelle condizioni migliori per imparare”.
L’insegnante infatti può dire quel che vuole, può avere anche le più solide e fondate convinzioni, può essere in grado di argomentare per ore, ma se lo studente non “capisce” in modo autentico, tutto scivola via e prima o poi viene dimenticato. Anche l’insegnante. Diverso è per l’insegnante che è riuscito a motivare lo studente e a fornirgli gli strumenti critici per orientarsi nel suo tempo. Così facendo egli contribuisce ad aprire la sua mente a un pensiero nuovo e a una nuova comprensione, sollecitandone la curiositas: la voglia di non accontentarsi delle conoscenze acquisite. Per questo, penso, si possa affermare che l’insegnamento non è un lavoro e non è una professione. È un’arte. L’insegnante è un artigiano dotato di talento, competenza, inventiva e capacità relazionali. Ciò ne fa un intellettuale vero, che comprende prima di far comprendere, ascolta prima di farsi ascoltare, impara prima di trasferire conoscenza. Insomma, “Un buon insegnante è come una candela: si consuma per illuminare la strada per gli altri”. (Proverbio turco)