Rubrica de Il Sole 24ore “Abitare le parole”
Se tutti vivessimo nella convinzione del salmista che “ogni uomo è inganno” (Sal 115,11b), non ci sarebbe spazio per il credito. Né per il credito inteso come sentimento di fiducia (“dar credito”) accordata a qualcuno né per il credito inteso come cessione (“fare credito”) di una somma di denaro a un soggetto (il “debitore”) dal quale ci si attende la restituzione. In ogni contesto – anche in quello bancario-finanziario – può esserci credito solo dove vi è fiducia. Come si evince dall’etimologia della parola credito. Dal participio passato (credĭtum) del verbo credĕre (affidare), il credito è propriamente la cosa affidata. L’equivalente greco (πιστεύω) del verbo credĕre esprime insieme il dar credito a qualcuno, nel senso di riconoscergli affidabilità, e il far credito a qualcuno, nel senso di affidargli qualcosa con l’attesa della restituzione.
In quanto esercizio di fiducia, il credito è continuamente in bilico tra sensazione di sicurezza e consapevole esposizione al rischio di perdere qualcosa o una parte di se stessi.
Per questo, il credito è sempre una sfida. E se, anche nelle relazioni economiche, la prudente acquisizione di garanzie per le somme erogate non può spingersi mai sino a elidere del tutto l’elemento di fiducia verso il debitore, questo è ancor più evidente quando si tratta del credito che apre la strada alle relazioni interpersonali. Relazioni leali e creative sono infatti solo il frutto maturo del credito che ciascuno di noi è disposto a dare, insieme, a se stesso, agli altri e alla vita. Chi non è disposto a far credito a se stesso, accogliendosi per quello che è, si condanna a vivere relazioni distorte.
Anche il sentirsi in assoluto creditori o debitori nei confronti della vita o degli altri influisce in maniera decisa sulla qualità delle relazioni. In chi si sente solo creditore nei confronti della vita e degli altri, il far credito ha tutto il sapore del ricatto, accompagnato dall’inevitabile pretesa di legare a sé e di condizionare. Chi si sente solo creditore vive nella costante pretesa di gratitudine e di ricompensa che, quando mancano, alimentano irritazione, arroganza e disprezzo nei confronti di chi non ha saputo valutare lo sforzo profuso.
Non molto diversi sono i frutti raccolti da chi si sente solo debitore nei confronti della vita e degli altri. Anch’egli farà fatica a stabilire relazioni positive, perché segnato profondamente dalla sensazione di inadeguatezza e incapace di cogliere eventuali segni di apprezzamento che possono venirgli dagli altri.
Perché il credito – fondato sulla fiducia e finalizzato a ristabilire equilibri tra chi possiede e chi ha necessità – possa raggiungere il suo scopo, c’è bisogno di chi non smette mai di sentirsi, nello stesso tempo, creditore e debitore. Vivendo nella consapevolezza che quanto si è dato non autorizza ad accampare pretese sui destinatari del credito prestato e che quanto si è ricevuto non potrà mai togliermi la dignità e la possibilità di trasformarmi, a mia volta, da debitore in creditore. Dando luogo a sorta di sorprendente danza della reciprocità.