Rubrica de “Il Sole 24ore” Abitare le parole / Confine – La natura convenzionale del confine lo rende, nello stesso tempo, paradossale, ambiguo e ricco di significati. Ambiguità e ricchezza dovute soprattutto al fatto che il confine – la parola è composta da cum (con) e finis (fine) – indica insieme ciò che separa e ciò unisce; ciò che chiude e ciò che, nello stesso tempo, apre. Non a caso, nell’Olimpo greco, Hermes è ritenuto il dio della porta e della soglia della città; ma è anche il dio dei crocevia e degli incroci. È insomma il dio della vitalità che anima quei crocevia e quegli incroci.
È la stessa concezione che del confine ha Luís Vaz de Camões. Dinanzi al sorprendente spettacolo che offre agli occhi del visitatore Cabo da Roca, il punto/confine più occidentale del continente europeo, il poeta portoghese ha scritto: “Qui…dove la terra finisce e il mare comincia”. Per chi, come Camões, non ha smesso di stupirsi e non si è lasciato isterilire da chiusure interiori il confine richiama contemporaneamente il concetto di identità e quello di alterità. La storia di ognuno di noi ci dice quanto utile sia porre e porsi dei confini per darsi una identità. In una persona interiormente equilibrata però i confini necessari sono snodi attraverso i quali transitano moti della ragione e decisioni della volontà; sono varchi che danno calore ai sentimenti, respiro alle relazioni, luce alle emozioni e concretezza ai progetti. Solo chi interiorizza questo dinamismo e interpreta così il proprio essere uomo e donna di confine è in grado di pensare il mondo come luogo di relazioni, e la storia in termini di snodi piuttosto che come un insieme di nodi inestricabili.
Diverso, ma non contrario a quanto detto fin qui, è il significato che la parola confine assume quando ci si riferisce ai confini naturali di un territorio, di una regione o di un continente. Il mare, il fiume, la montagna sono confini convenzionali ma veri, per lo più capaci di segnare differenze, che non possono però nutrire una diffidente mistica del confine. “Nonostante il tenero amore che nutro per il mio Paese – scriveva Hermann Hesse – non ho mai saputo essere un grande patriota né un nazionalista… E ben presto è nata in me una diffidenza verso i confini e un amore profondo, spesso appassionato, per quei beni umani che per loro natura stanno al di là dei confini… Col passare degli anni mi sono sentito ineluttabilmente spinto ad apprezzare maggiormente ciò che unisce uomini e nazioni piuttosto che ciò che li divide”. È segno di intelligenza apprezzare l’utilità dei confini senza lasciarsene soffocare: si pensa per superare i confini fatti di schemi sterili e ripetitivi; si ama per non farsi fermare dai confini disegnati dall’analfabetismo del cuore; si accoglie per lasciare aperti varchi attraverso i quali transitano storie nuove e inedite, emozioni sorprendenti e sofferenze che esigono condivisione.