Rubrica de “Il Sole 24ore” Abitare le parole / Complessità – Nel linguaggio comune, la parola complessità viene erroneamente utilizzata come sinonimo di complicazione, e posta quindi in antitesi col concetto di semplicità. Per uscire dall’equivoco ricorriamo alla comparazione etimologica. “Complesso”, deriva dal latino cum-plexum, participio passato del verbo complecti (cingere, stringere, abbracciare). “Complicato” deriva invece dal latino cum-plicum. Mentre il plexum – presente, ad esempio, in un tessuto o in un tappeto – è il nodo, l’intreccio, il legame, il nesso, la concatenazione, la trama il cui risultato è un disegno o una figura; il plicum richiama la piega del foglio o lo stesso foglio piegato. Per poter leggere e comprendere un plicum basta “s-piegarlo”. Se invece sciogliamo i nodi dell’intreccio di un tessuto o di un tappeto, ci ritroviamo tra le mani i singoli fili, semmai preziosi, ma perdiamo il disegno, appunto, complessivo.
Fino al suo superamento, a dominare la conoscenza del mondo e della realtà in genere è stato il paradigma lineare della scienza newtoniana, basato sulla concezione di un mondo più complicato che complesso; un mondo le cui dinamiche – una volta conosciute (s-piegate) le leggi che le regolano – possono essere dominate e orientate; esse sono infatti rette sempre e comunque da coerenza e consequenzialità. Una tale concezione del mondo e della realtà ha trovato graduale ma decisa opposizione in una vasta tendenza antiriduzionistica, sviluppatasi in vari settori della ricerca scientifica sin dall’inizio del Novecento e culminata negli anni Ottanta. Questa tendenza può essere sintetizzata con quanto scrive L. Wittgenstein: “Noi sentiamo che, una volta che tutte le possibili domande scientifiche hanno avuto risposta, i nostri problemi vitali non sono ancora neppure toccati”. Il mondo e l’uomo che lo abita, più che complicati, sono complessi. Come ciascuno di noi sperimenta, nel mondo e in noi stessi c’è spazio contemporaneamente per discontinuità, non-linearità, contraddizione, molteplicità e incertezza. Senza che questo rappresenti necessariamente un limite. La semplificazione garantisce certezze e non necessariamente verità. Il paradigma della complessità avvicina di più alla verità del mondo e dell’uomo, dei sui comportamenti, delle sue relazioni e delle sue emozioni più profonde, che sfuggono a qualsiasi analisi. Fanno parte del mistero e sono mistero essi stessi. Chi ignora ciò rinuncia a pensare e tende a mettere in atto goffi tentativi per coprire l’incapacità di accogliere la bella e faticosa complessità del nostro mondo e della storia delle persone. Consapevole che il paradigma della complessità sfida l’intelligenza e accresce il senso di responsabilità, E. Morin auspica l’educazione degli educatori al pensiero della complessità. In medicina, poi, l’accoglienza del paradigma della complessità sta portando sempre più verso un approccio personalista e sistemico, promuovendo una nuova concezione della scienza e della medicina più aperte e sicuramente più umane.