Censura

Rubrica de Il Sole 24ore “Abitare le parole”

La parola censura evoca subito, in ambienti mediamente colti, l’Indice dei libri proibiti (1558). Una delle tante forme in cui si è concretizzata, nel tempo, la pratica della censura. E, mentre dal 1966 l’Indice non esiste più, la mentalità che ha portato a creare un elenco di libri proibiti non è morta. Non basta infatti avere oggi la libertà pubblicare o ripubblicare con tutti i favori del caso – come ho potuto fare io stesso proprio in questi giorni – un’opera messa all’Indice nel 1849: Delle cinque piaghe della Santa Chiesa di A. Rosmini (San Paolo)!
La censura, insomma, non è destinata a essere cancellata dal progresso tecnologico e politico, né può essere ridotta all’alternativa tra lecito e proibito. Essa ha assunto oggi forme diverse, ma non meno fastidiose e bisognose perciò di essere analizzate. Siamo infatti di fronte a un fenomeno complesso. Sempre comunque funzionale al raggiungimento di scopi precisi, riassumibili nella volontà di difendere qualcuno o qualcosa. Spesso per mantenere una qualsiasi forma di potere.
Tutto questo la rende ancora oggi una pratica corrente. Molto di più, quindi, di una goffa e inefficace ripicca di qualche moralista.
Le prime forme di censura si incontrano già presso i Romani. Le attribuzioni dei censori coprivano ambiti diversi dagli attuali: dal censimento degli abitanti e dei terreni alla cura morum; dall’assegnazione dei lavori pubblici alla lectio Senatus, alla selezione cioè dei candidati alla carica di senatore.
Col tempo, come dimostra l’appellativo – il Censore – attribuito a M. P. Catone, la censura è divenuta essenzialmente controllo dei costumi dei singoli e della collettività. Esercitato nelle forme più diverse e sofisticate, fino a far emergere, oggi, un evidente paradosso che noi stessi ci incarichiamo di alimentare. Non sfugge a nessuno infatti la presenza, nello stesso tempo, di una pratica per niente celata di censura arbitraria e senza regole, di un’accentuata smania di esposizione pubblica attraverso i vari canali social e di una estrema difesa di privacy, con relativo velleitario tentativo di nascondere i propri dati sensibili.
Senza dubbio insopportabile è la censura che si fa controllo ossessivo e violento delle espressioni e della comunicazione. Ciò non vuol dire, però, approvare sempre e comunque l’assenza di buon senso e di rispetto per l’altrui sensibilità. Fatta passare per satira o ironia. Coltivare il buon senso e rifiutare in maniera decisa cattivo gusto non è censura.
Nonostante ciò, c’è da augurarsi che esista la strada per abbandonare una volta per tutte la diffidenza «a prescindere» nei confronti della censura, erede dell’oscurantismo repressivo.

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