Cambiamento

Rubrica de “Il Sole 24ore” Abitare le parole

Oggi più che mai, la parola cambiamento sembra garantire il superamento di ogni criticità, individuale o collettiva. Quasi fosse di per sé una soluzione. Basta pronunciarla per sentirsi dispensati dal precisare cosa si intende cambiare, a quali condizioni si promette di farlo e con quali risorse. A livello esistenziale, culturale, sociale o politico.
A parte gli eccessi, bisogna prendere atto che ci troviamo continuamente chiamati ad affrontare moltissimi cambiamenti e a una velocità straordinaria. Cambiamenti che non ci rendono neces­sariamente migliori nei pensieri, nelle emozioni e nelle relazioni.
La parola cambiamento – e in particolare il verbo “cambiare” – deriva dal greco Κάμπτειν, che è l’atto di curvare, piegare. A partire dallo stesso verbo, il cambiamento è inteso anche come possibilità di aggirare un ostacolo (girare intorno) per creare una situazione nuova. Accettarla però, in quanto frutto della rottura di un equilibrio che fa sentire al sicuro, non è sempre comodo. Soprattutto quando si ha la pretesa di “curvare” verso posizioni nuove prescindendo da un dialogo sincero con se stessi e in un contesto di relazioni positive. Vale qui quanto ha scritto William James: «Un essere umano può cambiare la propria vita semplicemente cambiando il proprio modo di pen­sare». O quello che – in Epistulae morales ad Lucilium, 28, 1 – raccomandava Seneca: «Animum debes mutare, non coelum (La tua interiorità devi cambiare, non il cielo sotto cui vivi»).
Il cambiamento autentico, quello che trasforma, parte dalla consapevolezza di quello che si è e delle condizioni nelle quali si vive. Per mettersi in moto, la decisione di cambiare ha bisogno di un “perché” condiviso, che spinge il singolo o la collettività a scegliere azioni, parole e comportamenti che aprono a forme nuove di vita. Ogni percorso di cambiamento è chiamato a fare i conti con la resistenza, che non è necessariamente segno di pigrizia mentale o di ingiustificato rifiuto di ideali alti. A volte, è una forma istintiva di protezione di sé. Altre volte, esprime in maniera sbagliata legittime esigenze di comprensione e di maggiore chiarezza degli obiettivi intravisti con il cambiamento.
Comunque, come afferma Eraclito in un aforisma a lui attribuito, «l’unica costante è il cambiamento» che, già nel filosofo di Efeso, non appare come sinonimo di mutamento. Quest’ultimo – per esempio, in ambito sociale – è l’alterazione, in senso letterale, dei modelli di organizzazione mediante un intervento che rende le strutture diverse da prima. Il cambiamento invece, proprio perché questione di consapevolezza, parte da un modo alternativo di pensare e di pensarsi, di affrontare e di vivere la propria vita. È sostenuto dal desiderio di “curvare” la realtà esistente attraverso un’azione graduale, responsabile e costante. Bisognosa di accompagnamento. Una vera e propria arte, questa, che non conosce pretese, ma è retta da quanto ha scritto Bertold Brecht: «Non aspettarti nessuna risposta, oltre la tua».

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