Calunnia

Rubrica de Il Sole 24ore “Abitare le parole”

Per quanto incerta, l’etimologia della parola calunnia non lascia alcun margine a una sua benevola interpretazione. I Greci, sotto il nome di Diabolé, innalzavano alla calunnia altari e offrivano sacrifici perché girasse alla larga dalla loro vita. Il latino calumnia e il verbo calumniari, con una medesima attinenza semantica, orientano verso tutto ciò che evoca inganno, frode, ingiuria, accusa infondata. E, come se non bastasse, per alcuni non è da escludere una certa somiglianza con il greco antico κηλέω, col significato di stregare o mandare un maleficio.
La diffusione della calunnia e gli effetti che produceva nella vita pubblica e in quella dei singoli aveva costretto, da subito, chi esercitava il diritto a considerarla un delitto e quindi a perseguirla. È dell’80 a.C. la Lex de calumniatoribus, mentre è nel periodo postclassico (dal 312 d.C. al 565 d.C.) che si condanna il calunniatore marchiandogli la fronte con una K (Kalumnia).
Sarà stato per la particolare attenzione di cui la calunnia godeva in ambito giuridico, o come monito per la gravità dei danni da essa provocati, che anche l’arte l’abbia posta a oggetto del suo interesse. L’angoscia, la delegittimazione, l’insicurezza e finanche la morte procurata dalla calunnia hanno ispirato i toni drammatici di alcune opere. Leon Battista Alberti prima, e i dipinti di Raffaello e Botticelli poi, denominati entrambi Calunnia, dipendono dalla descrizione che Luciano di Samosata fece di un introvabile dipinto di Apelle.
Sotto lo sguardo della Giustizia, soggetto principale del dipinto di Botticelli, si muovono figure inquietanti: la Calunnia, vestita di nero con una fiaccola in mano che non illumina, trascina per i capelli un innocente. Ad accompagnarla, Invidia, Tradimento e Inganno. Alle spalle del re Mida, che ha funzione di giudice, ci sono Ignoranza e Sospetto, ancelle e ispiratrici di un giudizio che non salverà certo l’innocente. Soprattutto la presenza di Sospetto suggerisce un cenno alla sfera etica.
Un uso popolare della calunnia si ritrova in un’aria del Barbiere di Siviglia di G. Rossini: «La calunnia è un venticello […], va ronzando nelle orecchie della gente». E oggi il musicista E. Bennato canta: «Può bastare una notizia per sentito dire». Adombrare sospetti infondati su certi comportamenti nella sfera morale finisce per gettare solo discredito. Aveva ragione Socrate quando considerava la calunnia l’arma dei perdenti. Usata per tacitare il dissenso, ma anche in ambito politico e religioso per umiliare gli avversari o addirittura per distruggere culti diversi o correnti differenti di una stessa fede.

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