Rubrica de Il Sole 24ore “Abitare le parole”
Con la sua struttura – fatta di giorni, settimane e mesi, che non prevedono salti arbitrari o compiaciuti rallentamenti – il calendario continua ad esercitare la sua funzione di richiamo, in un’epoca come la nostra in cui tutto appare accelerato, sincopato o compresso. È richiamo allo scorrere di un tempo che non si presenta mai uguale a se stesso.
Come le storie personali e collettive in esso annotate – talvolta con inchiostro invisibile perché troppo intime, altre volte in maniera fin troppo vistosa, ma non per questo più intense – i giorni del calendario non sono interscambiabili. Tutti esigono vigile pazienza, sapiente e responsabile partecipazione perché il loro scorrere possa avere un senso. Il senso della vita quotidiana, che è altro dalla routine. A differenza di questa, la vita quotidiana, vissuta in maniera consapevole, accetta di essere interrotta dal tempo della festa e del riposo, puntualmente indicato dal calendario.
Non tutti sono disposti a riconoscere in maniera esclusiva la derivazione della parola calendario dal latino calendarium (libro dei conti) e da calendae «primo giorno del mese», secondo il computo romano. Questa interpretazione etimologica, secondo una pervasiva mentalità economicista, riduce il calendario a registro commerciale sul quale venivano annotate le scadenze dei crediti e gli interessi maturati al primo del mese.
Chi invece accosta la parola calendario al verbo greco kalao – abbasso, trasferisco, lascio scendere – lo considera una sorta di «breviario dell’universo» (M. Ponticello). Ritiene cioè che la disposizione e la successione delle stagioni nel calendario rispecchino ciò che avviene nel cielo, compreso l’alternarsi delle divinità preposte alle varie stagioni dell’anno. Seguendo e vivendo le cadenze indicate dal calendario, l’uomo stabilisce una relazione con la divinità che presiede a quel determinato momento dell’anno ed entra a far parte egli stesso di una trama cosmica.
Liberata da riferimenti più o meno mitologici, questa seconda concezione del calendario dischiude la consistenza qualitativa del tempo scandito dal calendario. Nel senso che ciò che accade non nasce e non finisce con me. La mia storia, quella che giorno dopo giorno vado disegnando, acquista significato nella misura in cui si lascia integrare in una storia più ampia della mia. Nella storia e nei giorni che mi hanno preceduto, ma anche in quella che mi si staglia all’orizzonte. In una visione del tempo come dono da accogliere e al quale corrispondere con responsabilità.
Una prospettiva lontana dalla concezione surrealistica, che troviamo espressa nel dipinto di Salvador Dalì, La persistenza della memoria (1931). Gli «orologi molli» raffigurati dal pittore catalano, oltre ad essere deformi, segnano tutti orari diversi. Confermando che – nonostante il susseguirsi ordinato di giorni, settimane e mesi – quello segnato dal calendario è comunque un tempo instabile, fuggevole e frammentato, come l’esistenza dell’uomo, secondo Dalì. Con la possibilità, a nessuno preclusa però, di dargli senso compiuto.