Rubrica de “Il Sole 24ore” Abitare le parole / Notizia – Dal latino notus (conosciuto), la notizia è un’informazione o comunicazione che porta a conoscenza di altri un fatto accaduto. Mai come in questo periodo, sono tanti i canali di diffusione della notizia, a cominciare dal passaparola, che realizza quanto canta Fabrizio De Andrè: «Una notizia un po’ originale, non ha bisogno di alcun giornale, come una freccia dall’arco scocca, vola veloce di bocca in bocca» (Bocca di Rosa).
Gran parte dell’informazione però passa attraverso altri canali: carta stampata, tv, radio, internet. E, proprio l’immagine del “canale” evoca l’aiuto di cui un evento ha bisogno per diventare notizia ed arrivare a destinazione, il più velocemente possibile e senza dispersione. Il canale, fatto per agevolare il flusso della comunicazione, sempre di più mostra però i suoi limiti fino a stravolgere la sua stessa funzione: può trattenere, selezionare, disperdere e falsificare la notizia. Insomma può manipolare.
Il primo obiettivo della trasmissione della notizia è quello di offrire le coordinate per conoscere, valutare e decidere. Un obiettivo difficile se non impossibile da raggiungere quando l’informatore “seleziona” per dare al destinatario una rappresentazione della realtà lontana dal vero e strumentale, finalizzata il più delle volte alla delegittimazione dell’avversario. Escono così dal circuito dell’informazione notizie rilevanti per la vita, per la cultura e per gli stessi sentimenti dei destinatari.
Alla diffusione, conoscenza e comprensione della notizia contribuisce in maniera sempre più prepotente l’uso di video, foto, eccetera. L’uso di questi strumenti è senza dubbio un valore aggiunto per la notizia; il loro uso distorto può trasformare però la notizia in occasione di sensazionalismo che confonde, camuffa e amplifica la realtà in genere ma anche quella personale. L’ossimoro delle notizie trasmesse su di noi a nostra insaputa dovrebbe far riflettere sull’uso della comunicazione spingendoci ad essere custodi gelosi della nostra vita. Fino a poter dire in maniera un po’ irridente: «Non ho più notizie di me da tanto tempo» (Alda Merini).
È opinione comune tra gli studiosi che le cattive notizie, in genere, hanno un forte impatto emotivo e decisionale sui fruitori della comunicazione. Esse li raggiungono prima e in maniera più invasiva ed efficace rispetto alle buone notizie. Queste ultime bisogna cercarle più di quanto non si debba fare per le notizie negative. Pur ritenendo positiva la creazione di magazine di «Buone notizie», mi domando se esse non possano far parte della cronaca e della comunicazione ordinarie. Si rischia di trattare le «Buone notizie» e le buone prassi come qualcosa di “altro” rispetto alla vita. Eppure, per fortuna, non è così.