Rubrica de Il Sole 24ore “Abitare le parole”
Oltre all’insieme delle condizioni meteorologiche che caratterizzano una località o l’intero pianeta terra su un lungo periodo di tempo, la parola ambiente indica anche il complesso delle condizioni socio-culturali in cui una persona vive; l’insieme delle persone con le quali questa si relaziona e con le quali arriva a stabilire una comunanza di ideali, interessi o progetti. Ambiente sono inoltre le circostanze che rendono possibile raggiungere un obiettivo o mettere a punto un progetto. Derivando dal verbo latino ambire (circondare), l’ambiente evoca vita e tutto ciò che, circondandola, la rende possibile.
Certo, in riferimento al clima metereologico, l’ambiente sta cambiando. E non penso bastino indignazione e denuncia di abusi delinquenziali per rendere la nostra terra quella “casa comune” di cui parla papa Francesco (Enciclica Laudato si’) e che tutti vogliamo come madre che nutre e non come matrigna che soffoca e uccide.
L’attenzione del Papa per la custodia del Creato nasce dalla convinzione che l’ambiente è uno degli anelli deboli dell’umanità e la Terra rischia sempre più di essere una superficie povera. Non perché mancante di risorse o sterile. La povertà della Terra è lo scenario inquietante che continuano a consegnarci alcuni processi decisionali politici ed economici, frutto di ingiustizie e di facili tornaconto.
L’alternativa sta nella «conversione ecologica», come la chiama Francesco. Nell’assumersi cioè responsabilmente il compito di coltivare (‘avad) e custodire (shamar) la terra (Genesi 2, 15). Verbi che hanno, tra l’altro, il significato di «servire e osservare». La storia ci dice purtroppo che il significato profondo di quei due verbi è stato subito tradito. Dimenticando che «tutto ha a che vedere con tutto e in tutti i punti e in ogni momento; tutto è relazione e nulla esiste al di fuori della relazione» (W. Heisenberg).
Un altro modo per richiamare, come fa Francesco, al rispetto del principio dell’universalità dei beni. I beni sono stati donati a tutti. E il termine “tutti” non ha solo una direzione spaziale, ma anche un reciproco valore temporale. Nel senso che non è consentito a una generazione di impattare sull’ambiente fino a dissolvere anche le risorse essenziali per le future generazioni. Un proverbio dei nativi americani sintetizza splendidamente questa condizione: «Non abbiamo ricevuto in eredità la terra dai nostri padri, ma l’abbiamo presa in prestito dai nostri figli».
La strada da seguire? Smettere i panni di Prometeo che, assolutizzando la tecnica, ha marginalizzato la “migliore politica” (Fratelli tutti, 154), l’etica, l’arte e la scienza. Strumenti privilegiati per ascoltare il grido della terra.