«L’ho letto….in Internet!». «L’ho trovato…su Facebook!». E via di questo passo. Con frasi che, in sostituzione del più classico «Ipse dixit», dispensano di fatto dal ricercare quanto di vero ci sia in quello che si è “letto in Internet” o si è “trovato su Facebook”.
Le pagine dei Social non sono soltanto vetrine privilegiate per mostrarsi, per condividere pensieri e ideali e per promuovere mode e linguaggi. Esse hanno anche una valenza formativa. Tutto questo non può soltanto preoccuparci, deve anche vederci criticamente impegnati a valorizzarne le potenzialità. Sempre più spesso si leggono contributi che distribuiscono consigli per scovare le “bufale”, pochi invece, ad esempio, spingono a indignarsi per le calunnie e per le palate di fango che vengono sparse sui Social e attraverso i Social. È proprio vero, come affermava Umberto Eco che «i social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli. La tv aveva promosso lo scemo del villaggio rispetto al quale lo spettatore si sentiva superiore. Il dramma di Internet è che ha promosso lo scemo del villaggio a portatore di verità».
Come si fa a dare torto a Eco leggendo idiozie che, “postate”, diventano capofila di vere e proprie fiere dell’ovvietà se non della cattiveria gratuita e volgare? E questo, purtroppo, vale per tutti gli ambiti della vita: dalla politica allo sport, dall’intrattenimento alla religione. Sì, anche la religione! Guai a non condividere – come minimo con un “mi piace” – i giudizi sprezzanti di alcune conventicole e a mostrare qualche disappunto per l’uso di espressioni cariche di volgarità e di livore in nome della … ortodossia! Con grande efficacia, nei giorni scorsi, Gonzales Porto Berna sul Paìs metteva in guardia dal linguaggio pericoloso di frequentatori sportivi, politici e religiosi esaltati dei Social. La possibilità di frequentare le piazze virtuali non mettendoci direttamente la faccia né frequentandole fisicamente ma solo fissando uno schermo più o meno grande e digitando su una tastiera, sembra allentare i freni inibitori o comunque alimentare un’aggressività e a tratti pure una violenza verbale che non si riscontra nelle agorà reali. Per fortuna però i Social non sono solo questo. Non è difficile infatti imbattersi in pagine intense e davvero interessanti che giustificano la frequenza di una piazza virtuale che domanda comunque il possesso di anticorpi per non ritrovarsi richiusi in una vera e propria prigione. Alcune prospettive interessanti le ho trovate nelle pagine di un volume (Non è mai troppo tardi. Abc della scuola buona che comunica) che arriverà presto nelle librerie e che la benevolenza di uno degli autori mi ha messo tra le mani. Nel volume, con Prefazione di Roberto Napoletano (Edizioni Magi), A.P. Sabatini e G. Lanese con bella grafica e grande efficacia comunicativa riconoscono alla scuola la possibilità e il compito di fornire gli strumenti critici per abitare in maniera consapevole l’affollata piazza virtuale del web e dei Social. L’azione affidata alla scuola – una vera e propria alfabetizzazione digitale – da una parte, deve contribuire a ridurre i danni dell’analfabetismo funzionale, frutto indesiderato ma vero e amaro dell’eccesso di informazione e dei limiti di attenzione; dall’altra, deve offrire gli strumenti critici per ridurre i pericoli connessi all’assenza di intermediazione che caratterizza il mondo social. Leggendo il testo di questi due giovani studiosi mi sono convinto che può valere per tutti e senza forzature quello che Papa Francesco scriveva un po’ di tempo fa alle claustrali: «Vi esorto a un prudente discernimento [dei Social]: siano al servizio della formazione alla vita contemplativa e delle comunicazioni necessarie, e non occasione di dissipazione o di evasione dalla vita fraterna in comunità». La “contemplazione” e la “vita fraterna di comunità” non sono realtà esclusive del mondo claustrale. Interessano ognuno di noi, soprattutto se per “contemplazione” intendiamo laicamente l’esperienza del metterci in ascolto e del lasciarci raggiungere da parole “altre”; e se per “vita fraterna di comunità” intendiamo la necessità che tutti abbiamo di vivere relazioni vere. La contemplazione e la vita di relazione possono essere sostenute e sviluppate dai Social, ma possono trovare in essi anche ostacoli insormontabili; soprattutto quando a farla da padrone sono le tante prassi deviate come i fake. Come si sa, si tratta di profili fasulli creati con estrema facilità e grazie ai quali è possibile colpire quasi da invisibili o comunque protetti da fitte tenebre difficilmente penetrabili e che, come raccontano le pagine di cronaca, riescono anche a creare vittime. Può sembrare banale ma, al di là di leggi, regole, discipline e divieti più o meno rigidi, all’uomo – con la sua intelligenza e la sua capacità di discernimento – resta il compito di definire i confini tra una comunicazione eticamente efficace e una comunicazione che, oltre a essere inefficace, risulta essere anche dannosa. Ed eticamente inefficace, oltre che dannoso, è intervenire per infangare, scrivere per calunniare, esercitare una sorta di sopraffazione verbale per ridicolizzare e delegittimare. Tutto in nome del proprio punto di vista. A leggere post provenienti da alcune aree bene identificabili si ha l’impressione di trovarsi di fronte a gente consapevole di non essere toccata da alcun limite né passibile di alcun errore. Peccato che, per chi ci crede, il peccato originale – o più laicamente, il limite congenito – e quindi la possibilità di sbagliare è molto più estesa di quanto si creda! Talvolta ho l’impressione che tutti questi modi eticamente inefficaci e dannosi di stare sui Social sia un modo per dire a tutti il proprio livello di insoddisfazione nei confronti della vita.
Ho scoperto, quasi per caso, che per iscriversi a Facebook bisogna avere almeno 13 anni. Io, invece, da adulto, ho deciso di abbandonare Facebook, in attesa di tempi migliori e, state tranquilli, non mi iscriverò a Pokemon Go! (testo completo)
Il Sole 24 Ore – Editoriali e commenti – 20 agosto 2016