Rubrica de “Il Sole 24ore” Abitare le parole / Presepe – La parola Presepe (o Presepio) deriva dal latino praesepium, composto dal prefisso prae (davanti) e dal verbo saepire [chiudere/cingere con una siepe (saepes/is)]. Pertanto, Presepe significa letteralmente “luogo recintato da una siepe”. In senso lato, e soprattutto in Virgilio, la parola praesepium indicava esclusivamente la stalla. Solo più tardi passò ad indicare la mangiatoia chiusa da una siepe.
Ma la parola Presepe – o Ammasso del Presepe, noto pure come Ammasso Alveare – la si incontra anche in Astrologia e identifica un notevole ammasso stellare situato tra le stelle γ e δ della costellazione del Cancro.
L’uso più frequente e ormai esclusivo che, a partire dal Medioevo, si fa oggi della parola “Presepe” fa riferimento alla rappresentazione della nascita di Gesù e dell’adorazione dei Magi. Si tratta di una tradizione iniziata nel 1223 da San Francesco d’Assisi, che realizzò la prima rappresentazione vivente della nascita di Gesù a Greccio, un piccolo paese del Lazio. Tommaso da Celano, cronista della prima Vita di San Francesco descrive così la scena: «Si dispone la greppia, si porta il fieno, sono menati il bue e l’asino. Si onora ivi la semplicità, si esalta la povertà, si loda l’umiltà e Greccio si trasforma quasi in una nuova Betlemme».
Il primo presepe con tutti i personaggi risale al 1283, per opera di Arnolfo di Cambio, scultore di otto statuine lignee che rappresentavano la natività e i Magi. Questo presepio è conservato nella Basilica di Santa Maria Maggiore a Roma. Tra il 600 e il 700 gli artisti napoletani decisero di introdurre nella scena della Natività personaggi appartenenti alla vita di tutti i giorni.
La ricca simbologia del presepe, quando è conosciuta, contribuisce ad allontanare sia le banalizzazioni del presepe sia, soprattutto, le insopportabili strumentalizzazioni di esso. Per fermarci alle figure ricorrenti nel presepe, il bue e l’asinello sono i simboli del popolo ebreo e dei pagani. I Magi sono per lo più considerati rappresentazione delle tre età dell’uomo: gioventù, maturità e vecchiaia. O, ancora meglio, come le tre razze in cui, secondo il racconto biblico, si divide l’umanità: la semita, la giapetica e la camita.
Si capisce allora perché il presepe non possa essere ridotto a semplice elemento identitario, semmai invocato per innalzare siepi/recinti (per tornare all’etimologia) o per giustificare muri simbolici o reali. La presenza nel presepe di tanti personaggi – con la realtà che rappresentano e con la carica simbolica che li accompagna – dice identità, sì, ma identità aperta ed accogliente. Come le braccia aperte che ha il Bambino, al centro del presepe. La nascita di un bambino, di qualsiasi bambino, oltre all’amore che lo ha generato, racconta il fondamentale gesto d’accoglienza nei suoi confronti da parte dei genitori e della comunità tutta. E allora, se questo è il presepe, trovo pretestuosa e tristemente ideologica la scelta di chi, per …“rispettare” altre tradizioni o confessioni religiose, pensa di cancellare il presepe ed il Natale o di camuffarlo, scadendo nel ridicolo.