Rubrica de Il Sole 24ore “Abitare le parole”
Vi sono gesti, come gli abbracci, che solo esternamente si somigliano.
Ci vuole uno sguardo attento per andare oltre il congiungersi delle braccia e percepire la carica emotiva con i significati che comunica. L’abbraccio insomma non si limita ad avvicinare. Intreccia e rinsalda, esprime intesa, voglia di scambio e desiderio di condivisione.
Ma vi sono anche abbracci che denunciano fatica, trasmettono bisogno di appoggio, rifiuto di una imminente separazione e paura di non potersi più riabbracciare. Sempre comunque attraverso gli abbracci passano sentimenti e attesa che quell’abbraccio protegga persone e relazioni.
Vi sono abbracci non meno intensi e significativi di quelli individuali, come capita alla moltitudine che ha accolto Gesù a Gerusalemme. Con quell’abbraccio accogliente («Benedetto colui che viene, il re…»), la folla dei discepoli si aspetta da Gesù un contributo decisivo per sentirsi riconsegnata a una condizione di vita personale e comunitaria nuova. «Pace …!» invocano, secondo l’evangelista Luca (19,38) in momenti di grandi tensioni col potere imperiale romano. E a quanti vogliono soffocare l’esigenza di una condizione diversa («Alcuni farisei tra la folla gli dissero: Maestro, rimprovera i tuoi discepoli»), Gesù fa capire che certe richieste non possono essere messe a tacere: «Io vi dico che, se questi taceranno, grideranno le pietre».
Cosa sta gridando di così irrinunciabile la folla, tanto che anche le pietre sono pronte a gridare? Sta dicendo, senza nasconderla, l’attesa di uno che riporti la pace e restituisca dignità.
La scena, soprattutto per quello che segue, è caratterizzata da un drammatico dinamismo che deve aver colpito il ventenne Pier Paolo Pasolini, tanto che nel 1942 pubblica, in friulano, La Domènia uliva. Qui non vi sono braccia che fisicamente s’incrociano. L’abbraccio, strutturato come un dialogo medievale, intimistico e introspettivo tra Madre e Figlio, diventa faticoso, intenso e commosso scambio di parole, silenzi e sguardi tra Gesù-Pier Paolo e Maria-Susanna, madre del poeta di Casarsa.
Questa lirica di ambientazione pasquale conta tre differenti versioni, attraversate da profonda intimità e grande umiltà. Sentimenti opposti a quelli dominanti (cinismo, glorificazione della propria identità, volontà di potenza) mentre Pasolini scrive. Come non vedervi la scelta di rendere chiaro il suo privilegiare la parabola del Cristo passato dagli Osanna al Crucifige? Infatti, sostenuto e spinto dalla madre («… chèl ch’jo ‘i dis, fi, dis davòur di mè»), il figlio non riuscirà ad andar oltre quel: «Tu clàmis, Crist, e SÈNZE LUM (Tu mi chiami, Cristo, e SENZA LUCE»).