Rubrica de Il Sole 24ore “Abitare le parole”
Nelle più significative espressioni di letteratura antica, la terra è luogo di approdo sicuro per chi naviga in cattive acque. Si apre così la lunga tradizione di quanti hanno attribuito alla terra una forte valenza simbolica. Basta pensare, tra le altre, alle locuzioni latine Terram videre – presente nel Plauto della commedia Menaechmi (226-229) e nel Cicerone del De senectute (19,71) – e Terram dare (Catullo, Carme 68, 157).
Non si può ignorare però il grido di allarme che si leva oggi da più parti, in favore di una terra che, da “casa comune” da custodire perché possa continuare a offrire riparo ed essere luogo di vita, si va trasformando in spazio privilegiato per razzie e sfregi di ogni genere. Una prassi non nuova, purtroppo. Basta infatti affacciarsi su qualche studio di Antropologia culturale e di Antropologia sociale per scoprire che l’esigenza di definire i termini di proprietà e di utilizzo della terra è stata, da subito, all’origine di potenziali conflitti che, in forme diverse, ancora perdurano.
Vi sono ancora conflitti legati al possesso della terra. Conflitti che, ai nostri giorni, stanno conoscendo forme estreme di violenza. Uno di questi, almeno nella presunzione delle frange più estremiste, si dà come giustificazione e come titolo valido per dover possedere e abitare una terra l’averla ricevuta dalle mani di Dio.
Nel Nuovo Testamento il tema della Terra promessa perde la centralità che aveva nel Primo Testamento. Gesù proclama: «Beati i miti perché avranno in eredità la terra» (Matteo 5,5). La terra, qui, assume un significato trascendente e indica la salvezza finale. A beneficiarne, e quindi ad abitare la “Terra promessa”, saranno i miti, cioè quelli che costruiscono rapporti sociali e interpersonali sulla base della non violenza.
Nonostante ciò, o proprio per questo, tutto ci dice che ha ragione papa Francesco quando nella Lettera enciclica Laudato si’ (2015) afferma che l’ambiente è uno degli anelli deboli dell’umanità. Addirittura, possiamo qualificare la Terra come una superficie povera (Laudato si’, nn. 21-22). Non perché sterile e priva di risorse. Ma perché resa tale da processi decisionali politici ed economici spesso basati su ingiustizie e facili tornaconto. Il contrario di quanto richiesto da una nuova legge costituzionale (11 febbraio 2022, n. 1), che ha modificato gli artt. 9 e 41 della Costituzione italiana, introducendo la tutela dell’ambiente tra i principi fondamentali della Costituzione. Con l’invito esplicito a rispettare la terra che abitiamo e a ricordare che «la Terra su cui viviamo […] l’abbiamo presa in prestito dai nostri figli», come ebbe ad affermare, nel 1852, il Capo indiano Seattle.