Rubrica de Il Sole 24ore “Abitare le parole”
Pur prevalendo l’incertezza sulla etimologia della parola casa, i più la riconducono al latino căsa. Derivata dalla radice sanscrita *ska, che rimanda all’idea di coprire, proteggere. Căsa è pertanto letteralmente la capanna o, più in generale, un luogo coperto. La stessa radice con il medesimo significato è presente nelle parole latine castrum (accampamento) e cassis (elmo). Realtà che assicurano difesa, riparo e copertura.
La residenza signorile era indicata invece con il lemma domus; tanto che il capofamiglia si chiamava dominus (padrone o signore). Col tempo domus ha sostituito del tutto la parola căsa. Comunque e subito, la parola casa ha assunto un significato che va oltre il materiale col quale è costruita, le dimensioni e la forma che essa ha.
Già in Terenzio (Adelphoe, 413: «Domus habuit unde disceret») e in Plauto (Mercator, 355 «Domo doctus»), la casa è considerata luogo nel quale si impara e si viene educati.
E che dire della risposta che, in Esopo, la tartaruga dà a Zeus, il quale la rimprovera per essere arrivata in ritardo a un appuntamento? Le parole della tartaruga furono fatte proprie dai latini medievali: «Domus propria, domus optima – Non c’è nulla di meglio che starsene nella propria casa».
La casa è considerata bene prezioso anche dal filone biblico sapienziale: «Le prime necessità della vita sono acqua, pane e vestito, e una casa che protegge l’intimità» (Sir 29,21). Il greco ασχημοσύνη (askemosyne), che in italiano è stato reso con “intimità”, in effetti indica tutto ciò che non è bene far trapelare all’esterno, che è sconveniente e può provocare vergogna.
Nella casa prendono vita relazioni belle, ma possono consumarsi anche veri e propri drammi. È luogo della vita e dell’anima; custode del tempo interiore e di memorie care.
L’Olimpo greco, tra gli altri ambiti di sua competenza, attribuisce al dio Hermes la protezione della soglia e delle porte della casa. Nella sua struttura – non c’è casa senza porte e finestre – essa esprime tutta la sua ambiguità. La casa infatti, mentre dice cura e protezione, con le sue aperture rappresenta anche un luogo di passaggio e di incontri.
È tutto questo a rendere inaccettabile il sistematico abbattimento di case e città che da sempre segna i conflitti armati. Abbattere una casa non è soltanto buttare giù dei muri. Costringere le persone ad abbandonare le proprie case non è solo spingerle a trovarsi un’altra abitazione, ammesso che trovi chi le accolga.
Nel tragico vocabolario delle guerre, si sta facendo strada una nuova parola: domicidio. Cioè distruzione continua di radici, memorie, affetti e progetti di vita. Come sta succedendo ad Aleppo, Homs, Kyiv e Gaza.