Rubrica de Il Sole 24ore “Abitare le parole”
«Disteso sul tavolaccio» della prigione di Tegel, D. Bonhoeffer compone una poesia (Voci notturne) dalla struttura particolarmente articolata. A versi che trasfigurano liricamente una notte insonne, il teologo luterano affida il cuore palpitante della sua esperienza umana e cristiana. Nel momento più difficile per sé, per il suo popolo e per quello ebraico.
Al centro della poesia trova spazio quella che, alla fine, risulta essere una emozione complessa: la colpa. Frutto del continuo pensare alle drammatiche vicende di quei giorni e alle responsabilità dei protagonisti.
«La colpa! Odo un tremore e un palpito, / si leva un mormorio, un lamento odo uomini dall’animo adirato, / e nel garbuglio di innumerevoli voci, / un coro muto insinua / all’orecchio di Dio: / Braccati e cacciati dagli uomini, /privati di ogni difesa e accusati, / noi portiamo le nostre colpe insopportabili, / gli accusatori siamo noi».
L’intero testo lirico di Bonhoeffer conferma quanto complessa sia la natura della colpa. Essa non è mai un sentimento generico. Chi lo vive, soprattutto quando si cronicizza e diventa patologico, avverte forti i suoi effetti negativi. Sia mentre cerca di progettare la propria quotidianità sia quando si mette alla ricerca di relazioni positive da coltivare. Il senso di colpa infatti tende a tenerci appiccicati al passato. Tende a rinchiudere in una prigione la nostra esistenza e la nostra voglia di crescere. Finché non si hanno il coraggio e le energie per trasformare questo scomodo compagno di viaggio in eloquente interlocutore. Finché non lo si incontra, per farlo diventare un’occasione, seppur dolorosa, per riflettere sulla propria situazione umana. Quando ciò succede, può capitare di recuperare anche il valore sano della colpa. Quella nasce ogni giorno dall’assunzione di responsabilità e a guardare in faccia alla colpa senza ossessione. La colpa diventa per noi punto di partenza per rimetterci in cammino; e una delle strade per dire a noi stessi chi siamo veramente. Senza indossare maschere mistificatrici.
Qual è la colpa che, in Voci notturne, non permette a Bonhoeffer di trascorrere in maniera serena quella notte nella prigione di Tegel? «Abbiamo imparato a mentire per poco, / ad adattarci alla palese ingiustizia. / Se violenza era fatta all’inerme / freddi restavano i nostri occhi».
La prima colpa, che esige di essere assunta in maniera consapevole è quella che si commette tutte le volte in cui si congelano relazioni tradendole, e si chiudono occhi e cuore nei confronti di ciò che capita dentro e intorno a noi. Riducendo tutto a ombre dalle quali non riusciremo mai a liberarci.