Rubrica de Il Sole 24ore “Abitare le parole”
Pur volendoci affrancare dagli intricati dibattiti che da sempre accompagnano la parola interpretazione, non riusciremo mai a sottrarcene del tutto. Cosa essa sia, quali limiti vanno imposti perché l’interpretazione non stravolga il senso delle cose/parole/realtà; in quali ambiti è permesso l’esercizio della interpretazione. Sono gli interrogativi che si trova ad affrontare chiunque voglia misurarsi con questa parola.
Le risposte che si sceglie di dare non sono indifferenti. Influiscono sulla vita, individuale o collettiva. Soprattutto quando si tratta di interpretare, definire e quindi scegliere obiettivi di vita e qualità di coinvolgimento richiesto per realizzarli.
Una interpretazione – esercitata in maniera più o meno consapevole – è sempre implicata nelle relazioni importanti. Non si può pensare che nelle nostre decisioni basti, per quanto rilevante sia, la sola dimensione emotiva. Questa non può bastare a farmi decidere quale spazio può occupare nella mia vita una persona e la sua storia, un interesse culturale o la stessa esperienza religiosa. Sempre dinanzi a noi – quando esercitiamo il normale discernimento – si affacciano delle possibilità, con i loro precisi contorni e con le loro prevedibili conseguenze. Sono contorni e conseguenze che chiedono di essere interpretati. E «l’interpretazione non è, non può, non deve essere unica: per definizione essa è molteplice» (L. Pareyson, Verità e interpretazione, 61).
Ah, se si fosse capito questo da parte dei cosiddetti guardiani della fede! Quanta inutile sofferenza e quante inutili emarginazioni si sarebbero potute evitare!
«La verità – scrive ancora Pareyson – pur essendo unica, non si presenta mai con una determinatezza sua propria, in una formulazione che sia riconoscibile come unica e definitiva […]. E fra l’unicità della verità e la molteplicità delle sue formulazioni non c’è contraddizione» (ibidem).
Nell’interpretazione è l’intera persona a mettersi in gioco. Ingaggiando una sfida che la porta a dare vita nuova a qualcuno, a qualcosa o anche a una parola. Proprio come fa un direttore di orchestra. Gli ascolti di uno stesso spartito musicale, all’orecchio di un uditore mediamente esperto, non si assomigliano mai. Pur nella fedeltà allo spartito originario della Nona di Beethoven, il dinamismo e la forza interpretativa di Toscanini ha poco o nulla in comune con l’enfatica interpretazione del grande H. von Karajan. Entrambe però straordinariamente godibili e capaci di dare ricchezza e vita nuova all’unica pagina del compositore tedesco.