Rubrica de Il Sole 24ore “Abitare le parole”
Scegliendo il termine andreia – derivato da aner (uomo) – i Greci ritengono la fortezza una caratteristica propria dell’essere umano, chiamato a proteggere quanti sono affidati alla sua responsabilità. La pensa così Omero quando presenta Achille, eroe greco per eccellenza (Iliade, XXI, 270-290). Questi, per di più, esercita la sua fortezza non solo impiegando le sue energie fisiche, ma anche disprezzando, fino alla crudeltà, gli sconfitti. Al contrario di Enea, il pio, la cui fortezza è messa solo al servizio della sicurezza dei suoi compagni (Eneide, I, 378-380).
È proprio con Virgilio che la fortezza comincia a essere concepita come una virtù. Passaggio reso ancora più evidente con l’approdo del termine andreia nella filosofia. Qui smette definitivamente di identificarsi col vigore fisico per presentarsi come la virtù tipica di chi assolve al proprio compito con coraggio, evitando due eccessi: la paura e la temerarietà.
La persona forte infatti non è il vigliacco che si lascia paralizzare dalla paura, ma non è nemmeno il temerario che spinge sé e gli altri oltre ogni limite, fino all’azzardo. L’eccesso di audacia nell’affrontare le difficoltà porta, avverte san Tommaso, a essere precipitosi, imprudenti o stolti (S. Th. II –II, q. 127, a. 1).
Singolare appare la ricca iconografia riguardate la fortezza. Con buona pace del termine (andreia) col quale i Greci usano rendere il concetto di fortezza, questa è sempre rappresentata come una donna. Protetta da corazza, scudo e, nella mano destra, una spada o una mazza ferrata, nell’atto di colpire. Così la dipinge Giotto nella Cappella degli Scrovegni a Padova.
Il termine greco andreia non è presente nelle Sacre Scritture, pur abbondando, queste, di figure forti e coraggiose, sia maschili sia femminili. Tra queste ultime, spicca la straordinaria storia di Giuditta. Nel libro che porta il suo nome (12,15-16; 13,7-9), la sua fortezza è un misto di coraggio, audacia e uso intelligente della seduzione.
È nel Nuovo Testamento che emerge, con chiarezza e in maniera definitiva, la differenza tra la concezione greca della fortezza e quella biblica. Questa, a seconda dei contesti, si presenta come forza (dynamis), franchezza (parresia), grandezza d’animo (macrothymia) e pazienza (hypomoné). La identificazione della fortezza anche con la pazienza rimanda a Socrate, per il quale il forte sa riconoscere il momento di ritirarsi per non soccombere. Per dire che la virtù della fortezza deve nutrirsi di realismo se non vuole diventare violenza, arbitrio o forza cieca.
A differenza della forza fisica, la vera fortezza non si misura necessariamente in termini di successo.