Rubrica de Il Sole 24ore “Abitare le parole”
Il clima culturale nel quale viviamo non è l’ideale per renderci familiari la parola e il concetto di eternità. Risultano certamente più familiari la parola e il concetto di precarietà. Precaria è la nostra esistenza e la sensazione che se ne ha a livello personale e relazionale. Precarie mostrano di essere sempre di più decisioni che, almeno in teoria, ambirebbero a essere «per sempre».
Il nostro è un contesto nel quale è messo in dubbio persino il desiderio di pensare l’eterno, l’αίων (aion), nel senso del tutto e della completezza. Senza negare la complessità della vita e del tempo. È sempre meno agevole insomma coltivare il senso dell’eterno per cogliere il valore della vita e armonizzarne i segmenti, in un orizzonte che vada oltre la precarietà, per quanto piena di fascino, del presente.
Eppure, vi sono artisti e poeti che hanno cercato di non cedere di fronte alla difficoltà di pensare l’eternità. E hanno provato, a loro modo, a collocare vicende, attimi e gesti particolari in un orizzonte di eternità. Come percepisce chiunque contempli il Bacio di G. Klimt o alcune icone bizantine, nelle quali domina incontrastato l’oro, simbolo di eternità e di ciò che è prezioso, oltre ogni misura. Quell’oro capace di contenere la caducità del tempo e la complessità della vita. Senza però annullarle, anzi, dando loro una luce diversa. Spogliando, ad esempio, il bacio da ogni venatura di volgarità, per farne invece il luogo di una rasserenante tenerezza e di uno scambio che rigenera.
Questa è l’eternità! «Il mare mischiato col sole», ha scritto A. Rimbeau.
Come il poeta francese, anche Emily Dickinson offre una metafora concreta dell’eternità, dandole la fisionomia dell’immensa superficie del mare, con i suoi abissi e i suoi incontrollabili e imprevedibili sommovimenti. All’eternità si arrende anche l’ateo Schopenhauer, quando riconosce che «ci sarebbe da impazzire, non fosse che nei recessi del nostro essere abbiamo la percezione di possedere l’essenza dell’eternità, quella forza grazie alla quale si rinnova continuamente la vita».
Ma non siamo certo al pensiero di un’eternità che porta a scorgere la precarietà del nostro vivere proiettata verso un compimento. Un’eternità che non è solo durata senza fine del tempo, ma pienezza di vita nuova, «godimento perfetto e totalmente simultaneo d’una vita senza fine», come scrive Boezio nel De consolatione philosophiae.
Può desiderare l’eternità come esperienza stabilizzata e permanente di destini e di relazioni, e può aspirarvi solo chi crede che vi è Q/qualcuno, Q/qualcosa o delle relazioni che non finiranno. E che hanno in sé la forza di ispirare già oggi scelte che valgono davvero.