Al centro della liturgia della scorsa domenica c’era l’invito di Gesù: “CONVERTITEVI, perché il Regno dei cieli è vicino (è qui)”.
Oggi, soprattutto attraverso la pagina delle Beatitudini, la Chiesa ci dice da quali contenuti concreti deve essere caratterizzata la nostra conversione; attraverso quali comportamenti noi possiamo far parte del Regno; e in che maniera noi, nel nostro piccolo, possiamo contribuire a realizzare il “sogno (Regno) di Dio” in/per questo mondo.
Tutto questo – ci avverte la Liturgia della Parola di oggi – è possibile se trasferiamo nella nostra vita il contenuto di tre espressioni, tratte dalle tre letture e che costituiscono la linea portante della liturgia di oggi.
* “Farò restare in mezzo a te, Israele, un popolo umile e povero”
* “Non ci sono tra voi molti sapienti secondo la carne, non molti potenti, non molti nobili….”
* “Beati i poveri in spirito…..di essi è il Regno dei cieli”.
Quando Dio guarda al suo popolo – e quindi quando guarda a noi – è così che lo/ci vuole ed è così che lo/ci vede: un popolo umile e povero; che non vuol dire un popolo stupido e privo di iniziativa, ma non vuol dire neppure un popolo disposto a tutto, anche a disfarsi del suo Dio e della sua legge pur di non perdere in competitività.
Oggi è tutta la Chiesa – e quindi ogni comunità e ogni credente – che è chiamata a mettersi dinanzi al Signore per vedere se può riconoscersi, al di là delle etichette, appartenente a un popolo “umile e povero”. Appartenente, insomma, al popolo delle beatitudini.
Qual è l’umiltà e qual è la povertà oggi richieste alla Chiesa e al credente per poter appartenere ed essere “popolo delle Beatitudini”?
È l’umiltà di sapersi “vasi rotti” – perché in lotta e tentati continuamente da una logica che non è quella del Vangelo. “Vasi rotti” che il Signore, a differenza della logica mondana, non butta via, ma riprende in mano per lavorarli e farli essere ancora contenitori di speranza e contenitori di gesti profetici. Ricordando che profeti veri non sono gli arroganti e gli spiriti sazi.
“Profeti” veri sono gli uomini e le donne delle beatitudini che propongono un modo diverso di essere uomini e di stare nel mondo.
Quel “beati”, rivolto a noi per ben nove volte da Gesù è la strada e sono i sentieri tracciati da Dio per ogni uomo perché raggiunga la felicità: sì, perché “beati” vuol dire “felici”. Una felicità che si può raggiungere solo percorrendo/battendo sentieri precisi.
Il sentiero della povertà di spirito; cioè della disponibilità a fare spazio al Signore nei nostri progetti, facendoli dipendere da lui.
Le lacrime di coloro cioè che soffrono perché sono a disagio e non accettano tutto ciò che è fuori dalla logica di Dio – quella delle beatitudini – che è logica di giustizia e non di prepotenza e di arroganza; che è logica di misericordia, e non di giudizi e condanne pronunziati senza affetto; che è logica di responsabilità e non di comodità.
Si capisce che, quando le beatitudini da vivere sono sentieri da percorrere, allora gli uomini/donne delle beatitudini non sono dei rinunciatari, ma sono uomini/donne che sanno ancora subire il fascino della sfida della “vita buona del Vangelo”, come la chiamano i Vescovi negli Orientamenti pastorali nel documento “Educare alla vita buona del Vangelo”.
É facile davanti alla pagina della Beatitudini essere assaliti dallo scoraggiamento. L’Eucaristia che celebriamo è il luogo in cui alla speranza viene data conferma e allo scoraggiamento viene dato sostegno. Un sostegno dato ai perdenti secondo la logica del mondo ma dichiarati “Beati” da Gesù. Un sostegno offerto a quelli che si ostinano a proporsi la giustizia e per essa pagano un prezzo. Un sostegno offerto a quelli di cui nessuno si accorge, che non finiranno mai nei libri di storia, eppure sono i tessitori segreti del meglio e sono quelli che scrivono le pagine belle della storia.