In Oriente questa festa viene chiamata festa dell’«L’Incontro»: incontro del Signore con il popolo dei credenti.
Dopo il «ciclo delle manifestazioni» (Natale – Epifania – Battesimo – Cana) la Chiesa – come madre vuole guidare i suoi figli all’INCONTRO con Cristo «luce delle genti». E lo fa, non con lunghi discorsi, ma ponendo dinanzi a noi dei modelli di vita e di accoglienza.
La pagina dell’evangelista Luca non intende offrirci la semplice descrizione di un rito previsto dalla tradizione ebraica; intende piuttosto porre dinanzi a noi l’esempio di alcuni personaggi che hanno vissuto in maniera esemplare l’INCONTRO con il Signore.
Abbiamo sentito come Luca ce li presenta e chi sono: Maria e Giuseppe, Simeone e Anna.
Tutti preparati ed accompagnati in questo INCONTRO dallo Spirito di Dio. Tutti appartenenti alla categoria dei «poveri del Signore».Tre elementi caratterizzano questa pagina del Vangelo e l’esperienza dell’Incontro nel tempio.
- Tutti i personaggi sono in movimento
- Maria e Giuseppe vanno al Tempio
- Simeone si reca al tempio
- Anna serve notte e giorno.
L’esperienza religiosa autentica è frutto di disponibilità a essere rimessi in cammino e disponibilità all’impegno. Disponibilità a lasciarsi guidare dal Signore e desiderio di stare con Lui.
- L’azione dello Spirito, che – in un fatto ordinario per il tempio (la presentazione di un primogenito) – aiuta a cogliere un evento straordinario. L’esempio Giuseppe e di Maria ha già illuminato le feste del Natale; Simeone ed Anna vengono posti oggi dinanzi a noi come modelli di una vita vissuta cogliendo e riconoscendo nella ordinaria fragilità di un bambino «l’atteso delle genti».
Il tono della preghiera (quasi una esplosione) di Simeone e le poche note che Luca ci dà sulla vita di Anna ci fanno vedere in questi due vecchi delle persone che hanno nutrito la loro speranza a partire dalla sofferenza di una vita ordinaria.
La loro sofferenza e la loro fatica di vivere non hanno impedito al loro sguardo di incontrare Cristo e di riconoscerlo, anzi hanno affinato il loro sguardo.
La preghiera vera nasce da una vita autenticamente vissuta, come anche una vita coerente e piena di senso nasce solo da una preghiera intensa e continua, che non vuol dire necessariamente preghiera fatta di tante parole e tale da distogliere dalla vita di ogni giorno.
- Lo stupore come reazione esplicita di Maria e Giuseppe, ma come atteggiamento che caratterizza anche Simeone (Cantico) e Anna («si mise anche lei a lodare Dio»). Forse è proprio la nostra incapacità di stupirci a rendere la nostra esperienza religiosa ed il nostro incontro con il Signore piatto ed improduttivo. Forse è la nostra incapacità di stupirci ad allargare sempre di più la distanza tra l’esperienza religiosa – l’incontro con il Signore – e la nostra vita di ogni giorno.
Lo stupore, quello autentico, lo vive solo chi si lascia prendere/afferrare dagli avvenimenti e dalla storia delle persone fino a sentirsi coinvolto in esse. La mancanza di stupore è segno di mancanza di attenzione e di partecipazione ed è il contrario della passività.
Non è un mistero né rivelo una novità assoluta se sottolineo la passività con la quale tante volte le nostra città, il nostro territorio e le stesse nostre comunità cristiane reagiscono alle gravi offese fatte alla vita, alla giustizia e alla legalità. L’indifferenza con la quale si passa accanto alle manifestazioni della cultura della morte è segno della mancanza di capacità di stupirsi. E questa indifferenza è peccato; un peccato che non può essere coperto e perdonato dalle nostre cerimonie. Il peccato dell’indifferenza può essere superato solo con atteggiamenti di vera, intensa e appassionata partecipazione alla vita.