Rubrica de Il Sole 24ore “Abitare le parole”
L’incertezza nella quale è immersa l’umanità contemporanea e la paura di futuro che sembra caratterizzarla hanno reso la precauzione una sorta di parola d’ordine. Nella vita personale e in quella sociale; nell’esperienza relazionale e negli investimenti finanziari.
La precauzione è divenuta, per alcuni, l’unico investimento e l’unica speranza possibile per proteggersi da ogni rischio. Inseguendo semmai l’utopia del rischio zero, in una società considerata invece sempre di più La società del rischio (U. Beck).
Col passare del tempo, il motto scientista Memento audere semper si va trasformando nell’avvertimento: Memento cavere semper. Divenendo, nei meno avveduti, un invito all’astensione, all’insegna del «Chi non fa non sbaglia». Nelle persone più accorte ed equilibrate, invece, per fortuna prevale un corretto approccio alla precauzione. Parola che deriva etimologicamente dal tardo latino praecautio e dal verbo praecavere. Entrambi col significato di «stare in guardia» ed «essere cauto» nell’agire e nel decidere per evitare possibili pericoli.
Tutto si gioca evidentemente sulla proporzionalità delle misure precauzionali che si adottano. Sono queste infatti a rendere la precauzione qualcosa di simile a un giudizio prudenziale su una situazione, su una relazione e comunque su tutto ciò che vede coinvolta la persona. Solo una valutazione adeguata di rischi e benefici permette di evitare che la precauzione diventi diffidenza ossessiva e la prudenza si trasformi in sospetto sistematico.
Adeguata valutazione, però, è solo quella che affonda le sue radici in una dimensione etica molto profonda. Come quella elaborata da H. Jonas e fissata nella formula: «Agisci in modo che le conseguenze della tua azione siano compatibili con la permanenza di un’autentica vita umana sulla terra» (Principio responsabilità).
L’applicazione di questo principio ai vari ambiti della vita ha subito messo in evidenza l’esigenza di mediare, ad esempio, tra sviluppo tecnico-scientifico e controllo dei rischi a esso associati, tra legittimo e auspicabile desiderio di nuove conquiste e rischio che esse vengano raggiunte a scapito dei più fragili.
Non si può certo dire che abbia prevalso il principio di precauzione nel periodo del colonialismo. Ma il principio medesimo resta ancora colpevolmente latitante quando la globalizzazione viene sposata in maniera acritica e quindi ideologica. In particolare nell’ambito del neoliberismo, non solo economico. Qui l’interesse per la «permanenza di un’autentica vita sulla terra» è del tutto disattesa.