Rubrica de Il Sole 24ore “Abitare le parole”
Due passaggi si rendono necessari per cogliere in maniera corretta il senso della parola creatività. Bisogna prima di tutto prendere atto che il suo concetto si è modificato nel tempo. Dall’essere considerata un’attività riservata alle Divinità o, presso i Greci, alla sola arte poetica, la creatività è passata a indicare l’attitudine di chiunque riesca a concatenare idee, realtà ed emozioni in maniera virtuosa, significativa e sorprendente. Aprendosi allo sprigionarsi dell’energia e della bellezza del nuovo.
E poi, bisogna sgombrare il campo dai principali luoghi comuni che circolano intorno al nostro lemma. Innanzitutto riconoscendo che non vi è opposizione tra creatività e metodo; e che, proprio per questo, la creatività non è questione di un istante. Creatività non è lampo di genio. È piuttosto un processo reale, reso possibile da dinamismo mentale e finalizzato ad offrire qualcosa di nuovo. Può farlo solo chi, presente al suo ambiente, resta aperto ai più disparati stimoli da esso e da altri ambiti provenienti.
Questa virtuosa concatenazione fa della creatività un processo non fine a sé stesso, ma capace di alimentare innovazione e progresso. Attraverso lo sguardo spinto oltre, la scoperta di orizzonti inediti e la cura per interessi autentici, caratterizzati da gratuità interiore. Difficilmente, nella creatività, la pressione esterna può sostituire la passione, che spinge a raggruppare in combinazioni originali elementi vari, anche preesistenti. L’uomo infatti non crea ex nihilo, nonostante l’etimologia della parola creatività contenga la radice sanscrita kar, col significato appunto di fare/creare (dal niente).
Grazie alla curiositas, all’apertura di mente e alla libertà da schemi rigidi e precostituiti, la persona creativa si lascia guidare dalla visione profetica di un mondo che ancora non c’è o non gli è ancora apparso, fino a quel momento. Persone fatte così contribuiscono alla soluzione di problemi complessi nella vita e nelle relazioni. In ogni ambito.
Fare spazio alla creatività nell’esperienza religiosa, ad esempio, non vuol dire lasciare campo libero a stranezze o a insopportabili improvvisazioni. Vuol dire piuttosto fare entrare in essa, a pieno diritto, tutta la persona; con la sua vitalità, col suo carico di storia, bella e problematica, e col suo bagaglio di emozioni, di progetti, di attese e di ritardi. L’allontanamento dall’esperienza religiosa che siamo costretti a registrare è frutto anche dell’ostracismo dato alla creatività rettamente intesa e dell’aver ridotto la religiosità medesima, di frequente e per pigrizia mentale, a formule e gesti sempre sterilmente identici a sé stessi.