Rubrica de Il Sole 24ore “Abitare le parole”
La condivisa derivazione etimologica dal greco ἀνώνυμος (senza nome) – composta dal privativo ἀν e ὄνομα/ὄνυμα (nome) – rende con chiarezza il significato della parola anonimato. Meno lineare, invece, e comunque più articolata è da intendersi la prassi dell’anonimato diffusosi lungo la storia, fino alle ambiguità presenti soprattutto nella nostra epoca.
In letteratura, l’anonimato ha per lo più goduto e continua a godere di fascino misto a mistero. Tutt’altro significato assume l’anonimato cui si è costretti a garanzia della propria incolumità, in situazioni socio-politiche nelle quali manca la libertà di espressione oppure si sia oggetto di rivalsa.
Altro ancora è il significato dell’anonimato cui si è spesso ridotti in una società come la nostra, «liquida» nei legami socio-affettivi. Di solito prevalgono le identità deboli, facilmente sostituite dalle funzioni che svolgiamo e che permettono di beneficiare di una certa considerazione solo finché esercitiamo tali funzioni. La difficoltà a sopportare quest’ultima diffusa forma di anonimato non è necessariamente inferiore rispetto a quella cui siamo condannati se è in gioco la vita da proteggere.
Il fascino letterario e la curiosità spesso provocata sono del tutto assenti nell’anomimato che la nostra società costringe a sperimentare. Fascino e curiosità lasciano il posto a esperienze interiori penalizzanti, che raggiungono livelli insopportabili. Tali da far nascere e da alimentare un forte protagonismo, spesso non gestibile nell’alveo della ragionevolezza. Talvolta addirittura all’origine di gesti estremi, segnati chiaramente dal bisogno di riconoscimento.
Ma c’è anche una forma di anonimato descritta, in altri contesti, da M. Heidegger. È l’anonimato nel quale «ognuno è gli altri e nessuno è se stesso» (Essere e tempo). Senza la originalità e la eccezionalità di ciascuno, in un mondo neutro e impersonale. Il mondo delle comparse e dei replicanti; luogo in cui non c’è posto per relazioni autentiche e costruttive. È il mondo che non disturba chi si imbosca, nella folla che riempie le strade o nel gruppo che vive di abitudini prive di contenuti. Un anonimato che può caratterizzare la vita sociale, ma anche quella religiosa.
Da queste forme di anonimato si esce sostituendo l’«io dico» al «si dice», che è assunzione di responsabilità e diventa incontro di volti. E, nella preghiera, si esce dall’anonimato fidandosi meno delle formule e più di parole intime e personali con le quali portiamo davanti a Dio la nostra storia, fatta per lo più di nomi precisi e di emozioni ben definite.