Rubrica de Il Sole 24ore “Abitare le parole”
«Mi è odioso quanto il portone della casa di Ade chi una cosa nasconde dietro di sé e un’altra dichiara. Io invece intendo parlare chiaro: secondo me, è meglio» risponde con ira Achille a Odisseo quando il re d’Itaca prova a convincerlo a tornare a combattere dopo lo sgarbo di Agamennone (Iliade, IX, 312-313).
Un riferimento antico per un atteggiamento mai passato di moda: quello dell’ipocrisia che, proprio dalla lingua greca trae le sue origini; con ὑποκρίνω (upocrìno): separo, distinguo; e con il più teatrale ὑποκρίνομαι, che letteralmente significa sostenere una parte, recitare, fingere. Appunto ciò che Achille rifiuta di fare di fronte a Odisseo, storicamente considerato maestro della finzione, e magari anche dell’inganno.
In certi ambienti agiati – ne sono convinto, ma non saprei perché – le persone fanno fatica ad essere coerenti con ciò che affermano e lineari con quello che suppongono di essere. L’ipocrisia, qui, sembra l’arma da tenere sempre a portata di mano per mantenere privilegi, e semmai per accrescerli, contando sulla buona fede e lo spirito di sopportazione degli altri.
Sono davvero esigui gli spazi per la finzione o per l’inganno quando si è piegati dalla sofferenza o costretti a lottare per ogni cosa, a cominciare dalla sopravvivenza, propria o degli affetti più cari. Così come è difficile trovare ipocrisie nell’abbraccio di una mamma, nel sorriso dei nonni o nell’affetto di un amico o di un’amica. Non è un caso che proprio all’amore si affida Dante per vincere «ipocresia, lusinghe e chi affattura, falsità, ladroneccio e simonia, ruffian, baratti e simile lordura» (Inferno, XI, 58-60). Aprono scenari simili le parole di Pirandello in Uno, nessuno e centomila: «Imparerai a tue spese che nel lungo tragitto della vita incontrerai tante maschere e pochi volti».
Di maschere ha parlato papa Francesco, confidando anche lui, come il Sommo Poeta, nell’amore per metterle da parte: «L’ipocrita è una persona che finge, lusinga e trae in inganno perché vive con una maschera sul volto, e non ha il coraggio di confrontarsi con la verità». Si dichiara così indisponibile a rendere vivibile questo nostro mondo perché, in fondo, l’ipocrita promette senza mantenere, dice senza fare, s’indigna senza sporcarsi le mani.
Anche per questa ragione, qualora fosse richiesto un contrario di ipocrisia, prima che sincerità, sceglierei la semplicità, parente stretta di umiltà. Quella che permette di incontrare l’altro senza pregiudizi e senza presunzione; e libera le energie necessarie per condividere il bene e costruire un mondo più vivibile.