Rubrica de Il Sole 24ore “Abitare le parole”
Nel greco classico i due termini (ὑπερηφανία, αὐθάδεια) che traducono la parola presunzione non lasciano alcun dubbio sul suo significato del tutto negativo. Anzi, per certi versi, contribuiscono a esplicitare la dinamica comportamentale del presuntuoso; di chi cioè ha maturato un giudizio al rialzo su se stesso.
In particolare, l’ὑπερηφανία (huperéphanía) per il dizionario greco è alterigia, tracotanza, disprezzo e disdegno; mentre l’αὐθάδεια (afthádeia) è autocompiacimento, insolenza, arroganza e prepotenza. Questo secondo termine, per Teofrasto, discepolo di Aristotele, indica anche grossolanità e rozzezza (Caratteri 15,1).
Qualche possibilità di attenuare il significato del tutto negativo presente nella tradizione greca sembra esserci nella parola latina prae-sumptio, dal verbo praesumere, ossia prendere prima, anticipare, supporre, prefigurarsi come vera una cosa prima che avvenga o prima che se ne trovi un reale riscontro. In quest’ultimo senso, la parola presunzione si trova soprattutto in ambito giuridico. Qui, infatti, la presunzione è una sorta di prova indiretta, basata solo su indizi, e, perciò stesso, una semplice congettura.
Al di fuori dell’ambito giuridico prevalgono comunque i significati consegnatici dal dizionario greco. La presunzione cioè come atteggiamento conseguente al giudizio in eccesso che si dà su di sé, pensandosi più di quello che si è in realtà; senza lasciare spazio ad alcun sano dubbio sui propri convincimenti.
La presunzione non è quindi, come da più parti si ritiene, figlia dell’ignoranza. Essa è frutto, piuttosto, di un vero e proprio turbamento della facoltà di giudizio, che provoca uno strano cortocircuito tra l’eccessiva fiducia nelle proprie capacità, priva di oggettivo riscontro, e la necessità di attivare incontrollati meccanismi di autopromozione, che finiscono col rasentare il ridicolo.
Vera e prima vittima della presunzione è la corretta consapevolezza di sé, la capacità cioè di vivere a contatto anche con le parti scomode di sé, accogliendole ed evitando di nasconderle.
Forse, proprio la frequenza con la quale si incontra questo modo presuntuoso di essere, ha spinto il filosofo cinquecentesco francese Michel de Montaigne a scrivere: «La presunzione è la nostra malattia naturale e originaria» (Essais). Una malattia che porta al rifiuto del giudizio che altri possano esprimere su di me, rendere sterile, se non proprio impossibile, ogni sana e costruttiva forma di relazione. Perché il presuntuoso non solo regola a fatica le sue emozioni, ma anche fa tanta fatica a riconoscere quelle degli altri.