Compromesso

Rubrica de Il Sole 24ore “Abitare le parole”

Già presente nel diritto romano col significato di accordo tra due o più soggetti per affidare a un terzo la soluzione di una controversia o per concludere un affare, la parola compromesso è entrata con lo stesso significato nel diritto moderno. Al di fuori dell’ambito giuridico, il termine compromesso ha però in parte smarrito l’ele­mento positivo, quasi solenne, che gli deriva dalla sua etimologia (cum e promissus) e che ne fa, nel suo significato generico, un impegno assunto reciprocamente da più persone per raggiungere un obiettivo di comune interesse.
L’ansia ipocritamente puritana che spesso caratterizza la comunicazione nella vita pubblica almeno quanto in quella privata, ha fatto perdere alla parola compromesso il significato di mediazione adeguata, per niente assimilabile al cedimento morale. È qui, e non nella mediazione, che, per ricavare vantaggi effimeri, si baratta la verità di ciò che si è e di ciò che si ha.
Non è arretramento morale il compromesso del quale Amos Oz si dice «gran fautore». Lo scrittore israeliano è consapevole della pessima reputazione che circonda questa parola e, in maniera provocatoria, afferma: «Nel mio mondo, la parola compromesso è sinonimo di vita. E dove c’è vita ci sono compromessi. Il contrario di compromesso non è integrità e nemmeno idealismo e nemmeno determinazione o devozione. Il contrario di compromesso è fanatismo, morte» (Una storia di amore e di tenebra).
È ovvio che l’asse semantico della parola compromesso venga qui spostato. Il compromesso infatti diviene la scelta di chi, consapevole dei suoi e degli altrui limiti, non considera una perdita arretrare di qualche passo nel proprio cuore e nella propria testa per fare spazio alla diversità dell’altro. È la scelta di chi, consapevole di non possedere tutta la verità, sente forte il bisogno di affacciarsi sulla parte di verità che non possiede, riscaldarsi insieme alla sua luce e aprire il varco per relazioni feconde, che vanno oltre la tolleranza formale e gli ecumenismi di facciata.
È la scelta che Paul Ricoeur riconduce a un’«etica del compromesso», sul cui altare non è richiesto di sacrificare la propria identità né i principi che la sostengono. Etico non è il compromesso con la propria coscienza, bensì la strada che quotidianamente e faticosamente si percorre con se stessi e con gli altri, alla ricerca continua, concreta e prudente del bene migliore possibile. Senza sentirsi autorizzati a «vedere nella prudenza una sorta di facile compromesso nei confronti dei valori morali. […] La prudenza è un passaggio necessario per l’obbligo morale autentico» (Commissione Teologica Internazionale, Alla ricerca di un’etica universale).

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