Rubrica de Il Sole 24ore “Abitare le parole”
Teorizzata o no, si registra oggi una certa remora a correggere. Scambiato infatti per una dichiarata accusa di incapacità, l’atto del correggere è percepito come un far torto a qualcuno. E che, proprio per questo, sarebbe causa di ansia e di perdita di autostima. Così sembrano pensarla i genitori che si trasformano in sindacalisti dei figli nei confronti degli insegnanti o gli studenti nei confronti dei loro professori.
Al di là di prassi distorte, questo modo d’intendere la correzione ha un suo fonda-mento nella confusione etimologica che fa derivare la parola correzione dal latino correptio – da corripĕre (chiamare in giudizio, accusare, rimproverare) – piuttosto che da correctio, sostantivo derivato da corrigĕre, composto da cum e rigere, col significato di reggere insieme, migliorare, rettificare. Lontano quindi dalla correzione intesa come caccia all’errore; una sorta di ghigliottina azionata da correttori di professione e moralisti spietati, armati di fideismo camuffato da amore per la verità, ma indifferenti alle persone e alle loro storie.
Per la sua etimologia, la correzione è un’arte che può essere vissuta solo nel contesto di relazioni sane e da gente capace di lungimiranza. Chi corregge ha fiducia nell’altro e, proprio per questo, non è mai “contro”, bensì è “con” qualcuno, per accompagnarlo nella crescita e spingerlo a guardare oltre il limite e l’errore, che va sempre conosciuto e riconosciuto.
Correggere, allora, non è riportare una vittoria sull’altro, bensì tentare di guadagnarlo alla verità di se stesso, dei suoi limiti e delle sue potenzialità. Guadagno reso possibile dall’incontro tra chi rinunzia a sentirsi portatore di ragioni assolute e chi coltiva in sé la voglia di migliorarsi. Guadagno sostenuto dalla convinzione che la persona non si definisce per gli errori che commette, ma per la voglia che ha di andare oltre di essi, sentendosi motivata a realizzare un progetto di vita.
Il grande sogno è di avere sempre meno correttori supponenti, pronti a invadere i sacrosanti spazi di autonomia altrui, e sempre più gente capace di motivare. Insomma, più timonieri e meno arbitri/giudici. È il campo semantico della parola correzione (cum – rigere) a non sopportare attori avidi di protagonismo; quello che spinge a spostarsi fuori dal comune campo di gioco del limite e dell’errore, ma nel quale fioriscono desideri ardenti di realizzare sogni e attese, unitamente alla disponibilità a rimettersi in gioco dopo ogni caduta. Per questo, tuttavia, è indispensabile trovarsi accanto persone interiormente mature, capaci di esprimere sensibilità, saggezza ed empatia.