Rubrica de Il Sole 24ore “Abitare le parole”
Attribuire significati coincidenti alle parole differenza e diversità non aiuta a cogliere la ricchezza di cui ognuna di esse è portatrice. La poca accortezza, molto spesso vera e propria confusione, che ne accompagna l’uso nel linguaggio comune trova argine efficace solo nella etimologia delle due parole. Da questa emerge che i due termini appartengono ad ambiti semantici autonomi.
La parola diversità deriva dal verbo dīvertĕre, composto da vertĕre (volgere) e dis (altrove), col significato di dirigersi verso un’altra parte, cambiare direzione, separare. Il diverso finisce così per essere chi si allontana dalla norma o dal modo comune di essere o di pensare; e che, proprio per questo, esprime separazione, distanza. Non sempre e non necessariamente in senso negativo.
Sia l’italiano differenza che il latino diffĕrentĭa derivano dal verbo greco φέρω (fĕro) col significato di portare, preceduto dal prefisso verbale dis (qua e là), che non esprime privazione (come, ad esempio, in dispiacere o disamore) bensì movimento. Sicché il significato del verbo greco διαφέρω (diafero) e del latino diffĕro è portare qualcosa in varie direzioni o verso qualcuno. La parola differenza non evoca quindi né separazione né mancanza. Rimanda piuttosto all’atto del portare (fero, in latino) qualcosa o se stessa/o, per quello che si è, in una dinamica relazionale.
Intesa in questo senso, la differenza non ha avuto e non ha vita facile. Soprattutto quando la differenza assume il volto di una donna rispetto a un maschio, i caratteri etnico-somatici di uno straniero rispetto a quelli dei nativi e l’espressione di una sensibilità socio-culturale non riducibile a quella prevalente.
Ancora oggi la differenza – nelle sue forme più concrete – continua a fare i conti con la rigida logica del principio di identità che, sul piano esistenziale, si trasforma spesso in una prassi di esclusione o, nella migliore delle ipotesi, di subordinazione. Logica nella quale viene accolto come valore e riconosciuto come tale solo chi/ciò che risponde a standard noti e condivisi.
Se quello di identità è stato il principio chiave della filosofia classica, la differenza è divenuta il principio chiave della filosofia contemporanea. Come il primo ha contribuito, molto spesso, a marginalizzare tutto ciò che non era conforme alla “norma” o al comune modo di pensare, così il pensiero e la filosofia della differenza – a partire dagli anni Settanta del Novecento (G. Deleuze, J. Derrida) valorizzata da alcune pensatrici quali L. Irigaray e J. Kristeva – hanno messo al centro la differenza. Ogni differenza “significativa”.
Avvertendo però che solo in un contesto di pari dignità, la differenza può esistere ed essere vissuta come valore in sé e contribuire alla costruzione di relazioni seriamente umanizzanti. Stiamo parlando di una parità che non si raggiunge attraverso l’imitazionismo né è frutto di adeguamento, per esempio, della donna a stereotipi maschili. La sua differenza è valore ed è ricchezza in sé in virtù del principio di uguaglianza tra esseri umani.