Rubrica de Il Sole 24ore “Abitare le parole”
L’articolato dibattito filosofico – protagonisti, tra gli altri, Platone e Aristotele – e le raffinate differenze di approccio alla parola e al concetto di imitazione hanno lasciato il posto a un vero e proprio pregiudizio concettuale nei suoi confronti, fino a considerarla alla stregua di una insignificante riproposizione dell’esistente.
L’imitazione è tornata in maniera significativa al centro del dibattito solo negli ultimi cinquant’anni circa. Protagoniste di questa ripresa, oltre alla ricerca filosofica, sono state le neuroscienze, la psicologia sperimentale, la sociologia, l’etologia, l’economia e l’antropologia. Quest’ultima ha contribuito, forse più delle altre, a superare letture e approcci parziali. Lo ha fatto, con non poca fatica, in una società incline a imitare in maniera imbarazzante il peggio, e nella quale identità sempre più deboli sembrano aver rinunziato al gusto della irripetibile unicità di ogni persona.
Riconoscendola come istanza fondamentale dell’esistenza umana, l’antropologo franco-statunitense René Girard attraverso la sua «teoria mimetica» assegna all’imitazione un ruolo determinante nelle azioni e nelle scelte dell’uomo. L’imitazione è considerata, insomma, come un vero e proprio fenomeno sociale, che spinge il singolo a guardare con interesse, spesso empatico, qualcuno che appare più riuscito in qualche aspetto particolare della vita.
Ricerche piuttosto recenti hanno identificato nei «neuroni specchio» la base fisiologica dei comportamenti imitativi, senza per questo giustificare una sovrapposizione semantica tra imitazione e copia. La copia è tale nella misura in cui esclude qualsiasi contributo o rielaborazione soggettiva. L’equivalente della copia, sul piano esistenziale, è il conformismo sociale, che dà luogo a un esercito di replicanti senz’anima, disposti a mettere tra parentesi il perseguimento di obiettivi e aspirazioni personali. L’imitazione invece si sviluppa in presenza di un meccanismo di mirroring, di rispecchiamento emotivo tale da sentirsi attratti dal vissuto altrui, e tale da attivare una comprensione empatica, in se stessi e negli altri, degli stati mentali, culturali sociali ed operativi.
I pochi frammenti Sull’imitazione di Dionigi di Alicarnasso mettono in luce la necessità di coniugare insieme ed in maniera consapevole mimesis (imitazione) e zèlos (emulazione). La presenza di zélos, in particolare, fa dell’imitazione un modo per integrare la propria esistenza con quella di altri. Un passaggio obbligato – non limitato alla fase infantile (Freud) – per strutturare in maniera dinamica la propria identità e poter fungere, a nostra volta, da punto di riferimento per altri. Ma ciò richiede intelligenza e talento, indispensabili per scegliere chi, come, quando e in che misura imitare. Quando ciò avviene, l’imitazione può diventare un vero esercizio dello spirito, come quello proposto nella Imitazione di Cristo, il testo religioso medievale più diffuso, dopo la Bibbia, di tutta la letteratura cristiana occidentale.