Rubrica de Il Sole 24ore “Abitare le parole”
È stato Galileo, anche attraverso l’apologo raccontato ne Il Saggiatore (1623), a riscattare definitivamente la curiositas dall’ipoteca negativa che gravava su di essa. A partire già da Sant’Agostino, per il quale la curiosità è «bramosia di sperimentare e di conoscere», che distrae dalla conoscenza interiore di sé e di Dio. Quella galileiana è invece l’ottica dell’uomo di scienza. Per il Pisano, ingegno e curiosità, unitamente alla prudenza, costituiscono l’impulso che apre la strada a nuove e impreviste ricerche.
Tra queste due polarità si colloca il modo in cui Dante considera la curiosità. In particolare quella di Ulisse. Al di là delle parole con le quali l’eroe omerico stimola i suoi compagni di avventura – «Considerate la vostra semenza: / fatti non foste a viver come bruti, / ma per seguir virtute e canoscenza» (Inferno, XXVI, 118-120) – la curiosità che spinge Ulisse a oltrepassare le colonne d’Ercole è, secondo il Sommo Poeta, un atto di hybris, molto vicina alla tracotanza e alla superbia. Non la pensa così lo scrittore irlandese James Joyce. La curiosità che anima il suo Ulysses e lo spinge a oltrepassare le colonne d’Ercole del mondo etico allora riconosciuto, è solo irresistibile passione per la conoscenza e per la ricerca interiore. Tipica dell’uomo moderno che vuole gestire la sua “odissea”!
L’etimologia della parola curiosità ci aiuta ad andare oltre e, per certi versi, a valorizzare alcuni aspetti delle interpretazioni sopra ricordate. Curiositas rimanda al latino cura, intesa come sollecitudine e premura. Per questo, persona curiosa è chi affronta la vita senza pregiudizi, spingendosi oltre il già noto, e quindi oltre ciò che appare. La persona curiosa, grazie a una interiore inclinazione a porre e a porsi domande, è aperta a esperienze inedite e disponibile a lasciarsi sorprendere e stupire. Come Il fanciullino di Pascoli: «[…] a ciò lo spinge meglio stupore che ignoranza, e curiosità meglio che loquacità: impicciolisce per poter vedere, ingrandisce per poter ammirare». Al contrario di chi, non coltivando una sana curiosità, si condanna da solo alla ripetitività e si preclude la strada a esperienze nuove e costruttive per la propria crescita personale.
Nella vita è possibile però incontrare anche persone che, per il loro modo di vivere la curiosità, appaiono strane e bizzarre. Succubi di una curiosità petulante, che volge attenzione ed energie verso fronti infecondi piuttosto che far nascere domande di senso. Come quelle che Michel de Montaigne riassumeva nella famosa domanda: «Que sais-je?» (Che cosa so? – Essais, I, c. XXVI).
Coltivare la prima e più importante curiosità di conoscersi sempre meglio, oltre a essere segno di vitalità, è il varco, talvolta tormentato, che apre a domande di qualità su tutto ciò che ci circonda, e spinge a cercare risposte, ovunque esse si trovino. Grazie alla sua natura di comportamento istintivo e di emozione positiva e stimolante, la curiosità unisce, dove l’arroganza saccente divide.