Rubrica de Il Sole 24ore “Abitare le parole”
L’arguzia è una delle modalità con le quali è possibile interloquire o, più in genere, tenere una relazione. Non è mai la persona arguta a riconoscersi tale abilità. «La prosperità di un’arguzia giace nell’orecchio di colui che ascolta, mai nella lingua di chi la crea», ha scritto Shakespeare nella commedia teatrale Pene d’amore perdute (V, 2).
Oltre ai teorici dell’ars combinatoria, anche letterati e filosofi hanno posto al centro della loro attenzione l’arguzia. Lo hanno fatto, per ricordarne alcuni, Freud e Schopenhauer. Duns Scoto, poi, si era guadagnato il titolo di Doctor subtilis proprio per la sua arguzia. Per A. W. von Schlegel, fratello del più conosciuto filosofo Friedrich, l’arguzia (Witz) è un tratto dello spirito romantico, che gode addirittura di un carattere profetico.
Nel greco antico la parola arguzia è resa con εὐ-τραπέλεια. Il prefisso εʋ (bene, inteso come avverbio) rassicura sul carattere positivo dell’arguzia, propria di chi è in grado di mettere insieme intelligenza vivace, spirito critico e libertà di pensiero.
Questa linea interpretativa è confermata dalla etimologia della parola arguzia. Essa – come le argutiae, figure molto presenti nella letteratura latina – deriva dal verbo arguĕre. Oltre a significare dimostrare, provare e sostenere, il verbo arguĕre fa riferimento anche alla modalità dell’arguĕre: vivace, fine, intellettualmente penetrante e profonda. Dovendo definire la persona arguta, Isidoro di Siviglia ne sottolinea la prontezza nel trovare e presentare in maniera brillante gli argomenti. «Argutus – si legge nelle sue Origines – quia argumentum cito invenit in loquendo» (X, 6).
Questo modo di entrare in relazione e di partecipare al dialogo fa dell’arguzia un’abilità meno frequente dell’ironia e per nulla a essa riconducibile. La capacità di combinare insieme intelligenza vivace, spirito critico e libertà di pensiero segna una distinzione profonda tra l’ironia e l’arguzia. La persona ironica tende, in un certo qual modo, a sottomettere la realtà o la persona oggetto della sua ironia. Talvolta ad annientarla, soprattutto quando si esprime nelle forme più caustiche. Al contrario, l’atteggiamento e le parole della persona arguta sono frutto di elasticità mentale, di conoscenza dell’animo umano e, di conseguenza, dei limiti entro i quali è possibile muoversi per evitare che le proprie parole si trasformino in stiletti caustici, capaci solo di trasmettere supponenza. Come avviene nelle metamorfosi degli dèi omerici. Quando questi, presentandosi sotto false sembianze, approfittano degli uomini e interferiscono nella loro vita, la loro non è arguzia. È solo amara e tragica ironia. Quasi sarcasmo!
Cariche invece di fine arguzia sono i Detti memorabili di re e generali, di spartani e di spartane dedicati da Plutarco all’imperatore Traiano. Ancora oggi, questi potrebbero fornire ispirazione agli amministratori della cosa pubblica, aiutandoli a evitare parole avventate e modi di esprimersi che risultano irriguardosi per ogni intelligenza media.