Rubrica de “Il Sole 24ore” Abitare le parole
Non sappiamo quanto l’emergenza, che ancora viviamo, abbia influito o influirà sui nostri comportamenti e sulle nostre relazioni. È nel ricordo ed è negli occhi di tutti invece la reazione, immediata e corale, di fronte all’impietoso crescere di vittime e di contagi da Covid-19. Abbiamo assistito, almeno nei primi giorni, all’esplodere in mille forme di un sorprendente senso di appartenenza. Un’appartenenza – a tratti simile a una ritrovata identità sociale – vissuta come risposta a condizioni di incertezza e di minaccia.
Al di là della episodicità del senso di appartenenza sviluppatosi in quella circostanza, la spontaneità e le modalità talvolta naif con le quali esso si è manifestato, confermano la validità degli studi di A. Maslow. Lo psicologo statunitense colloca il bisogno di appartenenza tra i bisogni superiori della persona, assieme alla stima di sé, la sicurezza, l’affetto, l’amore a l’autorealizzazione.
Dal latino medievale appertinentia – derivata a sua volta e composta dal prefisso ad (a, verso) e pertinère (stendersi, giungere, riferirsi, “far parte di”, ma anche “essere di proprietà di”) – la parola appartenenza indica il sentimento o la condizione di chi si riconosce in uno status sociale o in un gruppo ben definito, grazie a un universo di valori, di interessi o di progettualità condivisi. Il senso di appartenenza richiede coinvolgimento e partecipazione, nella prassi e nella quotidianità, a forme particolari di aggregazione.
Vissuto con costanza e senza rinunciare alla propria identità, il senso di appartenenza, collante tra le persone, è molto più di un moltiplicatore di energie, funzionale al raggiungimento di obiettivi comuni. Esso contribuisce in maniera rilevante anche alla definizione della mia identità e del significato della mia vita. Facendomi così scoprire che l’appartenenza, vissuta in maniera intensa e consapevole, spinge oltre gli interessi personali, orienta decisamente verso il “noi” e mi insegna, giorno per giorno, a pensare che la mia libertà comincia dove comincia la libertà dell’altro. Mi insegna cioè ad andare più in là di quello che pensava Martin L. King. Suo infatti è l’aforisma: «La mia libertà finisce dove comincia la vostra».
Come per tutte le dinamiche umane, i rapidi e significativi cambiamenti cui è sottoposta la vita di ogni giorno possono modificare o portare all’abbandono di alcune forme di appartenenza. Essi possono addirittura corrompere, estremizzando, le motivazioni stesse. Infatti, oltre a coltivare il senso di appartenenza “per” realizzare sogni in comune, si può coltivare un forte senso di appartenenza “contro” chi mette a repentaglio i miei interessi, le mie sicurezze, la mia fragile identità e i miei confini. Spingendomi ad espellere l’altro dal mio orizzonte e a coltivare sentimenti di chiusura. A qualsiasi costo e con qualsiasi mezzo, con accanimento. Questo è il volto negativo dell’appartenenza. Tutt’altro rispetto all’appartenenza che è “avere gli altri dentro di sé” (G. Gaber).