Il suono delle campane a festa diffonde la fiducia della comunità cristiana in Colui che ha vinto per sempre la notte del male, della lontananza e della morte .
Ma quale rapporto può esserci fra l’annuncio gioioso della risurrezione e la situazione concreta che ci si trova a vivere? Sono tempi, i nostri, nei quali la parola più ricorrente nei discorsi è “crisi”; così, le notizie più frequenti riguardano attentati terroristici spietati, distruzione, lutti.
Come legare, dunque, il canto, la preghiera e l’annuncio pasquale di quest’anno con la storia che tutti viviamo e che per molti aspetti assomiglia a un campo di battaglia, sul quale restano tante speranze deluse e vite schiacciate dalla fatica di guardare avanti con fiducia?
La risposta richiede di mettersi in cammino. Di recarsi con Pietro e Giovanni al sepolcro. Di prendere posizione davanti a quella pietra ribaltata e a quella tomba vuota.
La vita dei credenti celebra vivo e presente quel Gesù che – con la sua Parola e con i Sacramenti – non smette di rovesciare i macigni che tengono in scacco tante esistenze e sigillano, fino a renderle sterili, le speranze e le attese più profonde. Credere nella risurrezione e far spazio a questa fede nella propria vita significa sentirsi spinti a lasciare posizioni di retroguardia e, tutto sommato, di comodo, per rivestirsi dello stile del Risorto. Sì, proprio come le donne del Vangelo e come i discepoli, che dal sepolcro sono ripartiti per diffondere questa grande novità del Cristianesimo.
Mi sono chiesto tante volte perché i primi testimoni della risurrezione abbiano spesso pagato con vita il loro annuncio: la storia ci insegna che non sono stati messi a morte perché facevano processioni o cantavano per strada l’Alleluja pasquale, ma in quanto hanno praticato la fede, abbracciando le preferenze di Gesù per i senza voce e i senza potere. Dalla Pasqua hanno tratto le energie necessarie per non arrendersi a un mondo che avrebbe voluto ridurre questi ultimi alla marginalità.
Lungi dal risolversi tra le pareti di qualche pur suggestiva celebrazione, la Pasqua ci consegna lo stretto legame tra la liturgia e la vita, tra quello che si proclama nelle chiese e la nostra storia, fatta di volti, di nomi, di incontri precisi. Così, come ha ricordato con forza Papa Francesco nella sua recente visita a Napoli, non può dirsi cristiano chi sfrutta il lavoro altrui, sottopagandolo, senza dare garanzie di giustizia e di rispetto della dignità umana; né chi non accoglie l’immigrato o stenta a riconoscergli la cittadinanza e la figliolanza divina.
Quando dalla Pasqua celebrata impariamo a impegnarci a lottare contro ogni atteggiamento di arroganza e di sopraffazione, allora la festa diventa un canto di vita nuova, al quale anche tante persone giudicate “lontane” troveranno modo d’unirsi.