La liturgia della Parola richiama il nostro sguardo al “centro del cuore di Dio”, dove abbondano perdono e misericordia che si tramutano in “festa”.
La grandezza del cuore di Mosè (prima lettura) ed il suo modo di porsi dinanzi al peccato del popolo sono uno straordinario esempio, soprattutto per quanti hanno responsabilità nella Comunità! Dinanzi alla grave perversione della sua gente e alla conseguente ira di Dio, Mosè non rincara la dose, ma invita Jahvé a perdonare per la fedeltà della “parte bella” di quel popolo: Abramo, Isacco, Israele.
Il cuore misericordioso di Mosè prefigura il “cuore del Padre”, di cui ci parla il Vangelo di oggi. Sarebbe riduttivo ridurre la terza “parabola del perdono” alla considerazione del drammatico percorso di abbandono e ritorno alla casa del padre da parte del figlio minore. La domanda centrale cui la parabola intende rispondere è: “Chi è il Dio di Gesù? Chi è il Dio al quale, come il figlio maggiore, facciamo fatica ad abituarci?”. La risposta è nel modo di reagire del padre nei confronti del figlio minore che, con fare arrogante e presuntuoso, sbatte la porta di casa e va via, nell’illusione di affrancare la propria libertà. L’atteggiamento del padre è scandito da 5 verbi, i “verbi della tenerezza”: “Quando era ancora lontano (non solo fisicamente) …lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò”. Sulla storia di quel figlio, piena di dissoluzione, continua a vegliare la tenerezza amorosa del padre. Una tenerezza che esplode nell’abbraccio e nel perentorio comando di far festa: la festa del perdono.
Chi non si è mai sentito perdonato, non può capire la tensione che anima questa pagina. Chi, come il figlio maggiore, ha la presunzione di essere stato sempre fedele alle regole, non può apprezzare l’abbraccio tra il padre ed il figlio che ritorna.
Il Dio di Gesù, dunque, si presenta come un Padre che non vuole una casa abitata da figli-servi, obbedienti e scontenti, ligi al dovere ma infelici. Il Dio di Gesù è un Padre che vuole la sua casa abitata da figli gioiosi e liberi, consapevoli della propria dignità filiale.
Integrando la lettura della terza parabola con le altre due, ci accorgiamo che tutt’e tre sono accomunate dalla medesima conclusione: “…bisogna far festa e rallegrarsi”. Ecco l’essenza del cuore di Dio: gioia festosa perché l’uomo, smarrito nel peccato e risanato dal perdono, “era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”.
La storia di ciascuno di noi può attraversare tante forme di negatività: l’abbandono della “casa”, lo smarrimento, ecc. Su tutto, però, la parola finale che Dio vuole pronunziare per noi è il perdono, che ricostruisce e permette di “fare festa”. Un perdono che, come figli di Dio, siamo chiamati ogni giorno a ricevere e condividere.
» XXIV Domenica del Tempo Ordinario, 15 settembre 2019