Sta di fatto che l’uso comune della parola tranquillità le ha fatto perdere il superlativo, omologandola riduttivamente a un generico stato di calma molto vicino alla imperturbabilità. Per superare questa omologazione semantica e per evitare di confondere la tranquillità con la felicità o con la imperturbabilità, è importante sottolineare il valore del prefisso trans. Esso ci dice che la tranquillità è una conquista esigente. Non è un generico “non darsi pensiero”, semmai prendendo le distanze dalla vita o vivendola con indifferenza e leggerezza. Per vivere tranquilli non sono sufficienti gli ameni sedativi che in abbondanza e al prezzo di un rotocalco vengono spesso somministrati. La condizione di tranquillità esige un’equilibrata disciplina delle passioni (Democrito) e il coinvolgimento di tutta la persona, chiamata a pensare in grande e a coltivare sogni. Tutto in un quadro di realismo e di disponibilità a investire interiormente e mentalmente molto e sul lungo termine.
La tranquillità è altro rispetto alla felicità. Senza demonizzarla infatti, la felicità ha durata limitata ed è strettamente legata a un evento percepito come positivo e vantaggioso per la propria vita: un esame superato, un obiettivo raggiunto, un’attesa realizzata. La tranquillità è uno stato d’animo duraturo: non è di per sé una meta, è piuttosto un modo di camminare verso una meta. Questo fa sì che la persona tranquilla non si senta mai arrivata, senza essere però sopraffatta dall’ ansia. È consapevole che “la felicità è come una farfalla: se l’insegui non riesci mai a prenderla, ma se ti metti tranquillo può anche posarsi su di te”(N. Hawthorne).
Nella canzone “… e non andar più via”, L. Dalla racconta una tranquillità da vivere e di cui godere: “io me ne vado via … dove chiudendo gli occhi senti i cani abbaiare, dove se apri le orecchie non le chiudi dalla rabbia e lo spavento ma ragioni giusto, seguendo il volo degli uccelli e il loro ritmo lento, dove puoi trovare un Dio nelle mani di un uomo che lavora e puoi rinunciare a una gioia per una sottile tenerezza, dove puoi nascere e morire con l’odore della neve (…) e correre insieme agli altri ad incontrare il tuo futuro che oggi è proprio tuo e non andar più via”.
Tranquillità
Rubrica de “Il Sole 24ore” Abitare le parole / Tranquillità – Il linguista M. Pittau, a fronte dell’origine incerta dell’aggettivo Tranquillus (tranquillo, calmo, sereno), ritiene di avere elementi per uscire dall’incertezza. Gli sembra del tutto evidente che Tranquillus possa essere connesso col prenome femminile latino Tanaquil-ilis (Tanaquilla) (Livio I, 34, 9; Ovidio, Fast. 6, 629; Giovenale 6, 566), che deriva dall’etrusco Thancvil, Thankvil, Thanxvil. Supponendo ovviamente che in tranquillus sia entrata, per una paretimologia, la preposizione trans. Vi è comunque chi fa derivare la parola tranquillità dal termine latino tranquillĭtas/atis, composto dal prefisso trans (oltre) e quies/etis (quiete). Questo etimo descrive la tranquillità come una serenità superlativa, da riconoscersi a stati d’animo davvero speciali.