Rubrica de “Il Sole 24ore” Abitare le parole / Racconto – «Insomma, gli era presa quella smania di chi racconta storie e non sa mai se sono più belle quelle che gli sono veramente accadute e che a rievocarle riportano con sé tutto un mare d’ore passate, di sentimenti minuti, tedii, felicità, incertezze, vanaglorie, nausee di sé, oppure quelle che ci s’inventa, in cui si taglia giù di grosso, e tutto appare facile». Questa considerazione di Italo Calvino aiuta a cogliere la ricchezza ma anche le ambiguità che possono passare attraverso un racconto. Esso infatti è l’esposizione di eventi o discorsi personali, pubblici, storici o del tutto originati dalla fantasia di chi parla o di chi scrive.
Il raccontare storie ha permesso, nei secoli e prima dell’invenzione della stampa, di salvaguardare e trasferire ai posteri importanti patrimoni culturali. La storia, raccontata in genere dagli anziani, riusciva a emozionare, a coinvolgere profondamente una persona a tal punto che, ascoltata appena una volta, rimaneva impressa nella mente e nel cuore di chi ascoltava. Attraverso il racconto orale si è tramandata anche la Sacra Scrittura e tanti testi ritenuti fondamentali per la cultura di base di ogni popolo.
A distanza di millenni, lo scopo di chi racconta storie, a prescindere dalla modalità (orale o scritto) o dal mezzo utilizzato, è sempre quello di catturare l’attenzione, di suscitare i sentimenti più disparati e, perché no, di venire ricordato il più a lungo possibile. I cantastorie nacquero per continuare a destare curiosità e interesse nei confronti delle notizie. In piazza, sostituivano la televisione e la radio.
Nell’epoca delle urla, delle informazioni che si susseguono velocemente e dei libri digitali, il racconto sta perdendo il suo fascino e forse la sua utilità e i cantastorie sono spariti. Nessuno però può fare a meno del racconto.
Oggi si parla più di storytelling [story (storia) e to tell (dire, raccontare)]: l’arte del raccontare storie impiegata come strategia di comunicazione persuasiva, specie in ambito politico ed economico. Al posto dei cantastorie o dei narratori oggi abbiamo a che fare con lo storyteller che – in analogia con i cantastorie e i narratori – incanta il suo pubblico. Purtroppo e a volte, oltre a incantare, prova anche a ingannare. Storytelling è infatti anche il racconto col quale si manipola un episodio del presente o si descrive ad arte quello che può avvenire. Le storie, anche in questi casi, vengono utilizzate per agire sui sentimenti, per affascinare l’interlocutore convincendolo di qualcosa che spesso non corrisponde alla realtà o corrisponde a una realtà parziale, artefatta.
Se in letteratura è vero che «La vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla» (G. G. Márquez), nel caso di fatti realmente accaduti ci piacerebbe ritornare al vecchio racconto o, meglio, alla cronaca dei fatti, al vecchio narratore o al cantastorie moderno, e non certo al contafrottole, bugiardo che si nasconde dietro la seduzione di una favola per illudere chi gli presta attenzione.