Non è neutrale né scontato e, soprattutto, non lascia mai le cose come sono. Quando si fa spazio al Signore nella propria vita, quando gli si permette di entrare in quella che è la nostra Cafarnao e di abitare la nostra storia, tutto viene avvolto da una nuova luce.
L’intero Vangelo di Marco è attraversato da una domanda – la cui risposta giungerà in pienezza solo alla fine e per bocca di un soldato pagano – sull’identità di Gesù: “Chi è costui?”. La liturgia di questa domenica inizia a presentarcelo come “l’unico maestro di sapienza e il liberatore dalle potenze del male” (dalla Colletta).
Lasciandoci, a nostra volta, provocare da qualche interrogativo.
“Erano stupiti del suo insegnamento: egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità” (Mc 1,22). Quale atteggiamento matura in noi l’ascolto della Parola? Siamo davvero disposti a riconoscerle autorità e, quindi, a prendere le nostre decisioni a partire da quella Parola? Prima ancora: ce ne sentiamo i destinatari?
“Che vuoi da noi, Gesù Nazareno?” (Mc 1, 24). L’autorità della Parola di Gesù viene esercitata nei confronti di un indemoniato, simbolo di tutte le situazioni di schiavitù che mortificano l’uomo. Ma forse la nostra reazione non è molto diversa da quella di quest’invasato: “Che c’entri con me? Lasciami fare quello che voglio, lasciami agire nel buio e nella doppiezza, lasciami sfogare i miei istinti, non disturbare la mia coscienza…”.
“La sua fama si diffuse subito dovunque, in tutta la regione della Galilea” (Mc 1, 28).
L’esperienza fatta da quanti erano nella sinagoga di Cafarnao non rimane fine a se stessa: mette in moto un impegno concreto di testimonianza nella “regione della Galilea”, ossia in un territorio che era un po’ il simbolo dei non credenti, dove le culture e le religioni si mescolavano e le persone erano considerate “impure” da quanti avevano la possibilità di frequentare regolarmente il Tempio e di osservare la Legge di Mosè. La Galilea non è forse una rappresentazione di quello che oggi è il nostro contesto? La differenza siamo chiamati a farla con la nostra testimonianza. Ma sappiamo uscire dalle nostre celebrazioni con la disponibilità gioiosa di chi annuncia in “parole e opere” quello che il Signore ci fa vivere e come, liberandoci dalle schiavitù, renda buona la vita?
Nelle Filippine, rivolgendosi a quanti 14 mesi fa sono rimasti colpiti da un tifone che ha spazzato via affetti, case e sicurezze, Papa Francesco con il cuore in mano ha potuto confessare: “Sono qui per dirvi che Gesù è il Signore e non delude. Abbiamo un Signore che è capace di piangere con noi, è capace di accompagnarci nei momenti più difficili della vita. Io non ho altre parole da dirvi. Guardiamo Cristo: Lui è il Signore, e Lui ci comprende perché è passato per tutte le prove che ci hanno colpito”.