Lo confesso! Faccio fatica a far distinzione tra persone che vivono nel bisogno. Non riesco a stabilire priorità tra gente che stenta a disporre delle condizioni minime di vivibilità. La povertà – quella vera – livella, come la morte. La violenza subita fa male a tutti. Senza distinzione. È la lezione che ho imparato visitando i campi profughi; soprattutto quelli di Ankawa-Erbil (Kurdistan irakeno) e quello immenso di Zaatari, in Giordania. Se a Erbil ho incontrato e condiviso la fatica di vivere e la tragedia di Cristiani perseguitati e minoranze Yazide, in Giordania ho visto ammassati uomini, donne e bambini in fuga soprattutto dalla Siria. Non sono mai riuscito, lo ripeto, a far distinzione tra loro. Gli occhi imploranti mi sono sembrati tutti meritevoli di attenta partecipazione; la voglia di essere ascoltati, la stessa in tutti. Con questo bagaglio di sensazioni interiorizzate sul campo, o meglio nei “campi”, mi sono accostato al Messaggio di papa Francesco per la 104esima “Giornata mondiale del migrante e del rifugiato”. Accanto ai contenuti che mi hanno colpito per la loro esigente linearità, la mia attenzione è andata ad alcuni particolari che disarmano preconcetti interessati e duri a morire. …. (testo completo)
Il Sole 24 Ore – Editoriali e commenti – 13 gennaio 2018, pag. 6