Rubrica de “Il Sole 24ore” Abitare le parole / Tolleranza – Alla domanda «Cos’è la tolleranza?», Voltaire risponde: « È la prerogativa dell’umanità. Siamo tutti impastati di debolezze e di errori; perdoniamoci reciprocamente le nostre sciocchezze: questa è la prima legge di natura». La tolleranza quindi come risposta alla presa d’atto delle fragilità e delle debolezze che segnano la vita di ognuno di noi.
L’etimologia rimanda al verbo latino toleràre, forma durativa di tòllere. Col significato di sollevare, sostenere, tenere sollevato, sopportare… ciò che non si può cambiare né tantomeno evitare. Fermarsi qui ridurrebbe però la tolleranza a un atteggiamento passivo, quasi rinunciatario. Un’analisi più approfondita permette di identificare nella tolleranza, da una parte, la disposizione e il faticoso esercizio a “tollerare” per evitare danni derivanti da situazioni o comportamenti di per sé negativi; dall’altra, permette di identificare nella tolleranza un atteggiamento propositivo, attivo e fortemente determinato in vista di un bene superiore o comunque possibile. In maniera analoga a quello che accade in altri campi. In Ecologia, ad esempio, la legge di tolleranza definisce i limiti ecologici – riguardanti luce, calore, acqua – necessari per favorire o ostacolare l’accrescimento di un organismo vivente in un determinato ambiente. In Statistica, esistono le “soglie di tolleranza” che stabiliscono i limiti entro i quali un evento accade con una certa probabilità, aiutando così a orientare alcune scelte.
Nelle relazioni, il termine “tolleranza” evoca un atteggiamento di disponibilità e di ascolto nei confronti di chi – in fatto di religione, politica, etica, scienza, arte, letteratura – rispetta le convinzioni altrui, anche se profondamente diverse da quelle cui egli aderisce. Fino a capire che «tolleranza è concedere a ogni altro essere umano tutti i diritti che si reclamano per sé stessi» (R.G. Ingersoll). Atteggiamento evidentemente positivo, lontano mille miglia da quello di chi tollera un’idea, una persona, una religione, una minoranza, semplicemente perché non interessato a forme di relazioni con realtà e persone considerate “estranee”, “diverse”, “altre” da sé. In quanto atteggiamento positivo e capace di imprese, la tolleranza conosce ambiti nei quali non può essere invocata. È fuori posto, ad esempio, invocare la tolleranza a fronte della violenza sempre più frequentemente consumata a danno delle donne, dei bambini o di soggetti fragili. Insopportabile è anche invocare tolleranza a fronte di violenze o discriminazioni consumate sui posti di lavoro. Infatti «Chi tollera un torto ne chiama cento» afferma un antico proverbio indiano. È possibile, anzi doveroso fare un passo avanti: non basta la tolleranza religiosa, c’è bisogno di accoglienza; non tolleranza etnica ma la fratellanza; non tolleranza dei valori ma rispetto e comprensione.
Tolleranza. Accoglierci a vicenda